venerdì 6 novembre 2015

BERNARDINO LUINO: il rumore del silenzio interiore


BERNARDINO     LUINO:   il rumore del silenzio interiore.


L’etimo della parola decodifica oltre la cosa. La “metacosa” appunto, corrente degli anni Ottanta che ebbe tra gli artisti fondatori Bernardino Luino, fissava un ambizioso obiettivo all’interno della pittura figurativa; una continuazione reinterpretata del pensiero della metafisica imperante nella prima metà del secolo scorso. Fu comunque un segno del tempo la nascita del movimento idoneo a soppesare le attese, i silenzi, gli isolamenti, le porzioni significative del paesaggio e la staticità meditativa delle figure, … in sintonia con la noia esistenziale sartreiana. A seguire i movimenti sessantottini del cambiamento, delle rivoluzioni sociali non senza lode e biasimo, era quasi doveroso assaporare il soliloquio della e nella contestualizzazione delle cose e degli individui nel crepuscolare abbandono di se stessi. Luino è direttore dell’orchestrazione del silenzio, delle attese. Nel realismo della sequenzialità filmica prima vengono gli oggetti: la totalità del paesaggio dalle tinte pastello, il campo lungo sulla globalità che riduce a porzioni di edifici, scorci di strade, di fabbriche. Qui s’intravvede la solitudine esistenziale con il rumore del silenzio interiore e tutta l’incomunicabilità del “passeggere” frettoloso, ripreso a passi larghi, dalle precipue occupazioni che solo lui come individuo sa assolvere. Lo zoom ravvicina e mette a fuoco gli interni con i protagonisti;  in primis l’Artista, il coordinatore dell’ontologico dentro le cose. Luino si pone davanti, dirimpetto con lo sguardo diretto all’interlocutore, allo spettatore in attesa di esplicite spiegazioni e di risposte. Il Novecento è stato il secolo delle guerre globali proprio per inadeguatezza nel dare soluzioni ai quesiti nonostante abbia partorito ineguagliabili ideali e prolifici fantasmi. Tutto e l’antitesi di tutto in un’incommensurabile corsa evolutiva dal cavallo al drone, dalla pratica cerusica al clone, dalla guerra di postazione in trincea agli interventi bellici intelligenti e di pace, dai tanti figli per la patria all’eugenetica che elargisce embrioni ed uteri anonimi… Bernardino Luino, figlio di questo tempo, frastornato dalle verità contrapposte, si ferma a meditare. Il vero e vacuo entrambi forgiatori di pensiero nell’ontologia che va oltre l’oggetto. L’indagine fa esperire il senso, oltre le nudità delle figure femminili. Ecco il primo piano sul letto disfatto; il soggetto, credo, più sentito dall’Artista. Indubbiamente è il letto il cerchio perfetto su quale si apre e si chiude la vita; è il posto di scambio di amore e di rabbia. Nell’ordine intuitivo è lasciato sfatto perché si ritornerà immancabilmente a disfarlo. Nella ciclicità degli affetti, gli unici psicologicamente adatti alla spontanea confidenza, sono proprio i letti i protagonisti: qui si marcano le passioni, esplode la libido, inizia e finisce il biologismo terreno. L’oggetto raffigurato da Luino è dunque il più adatto a rappresentare la pluralità delle pulsioni, anche secondo la successione temporale. La prospettiva del pavimento piastrellato con diverse colorazioni di mattonelle, rosso e blu,  è il simbolo inconscio del percorso diacronico evolutivo dell’esistenza. Luino dunque supera l’ovvietà fenomenologica delle cose per captare il senso delle stesse: un’indagine psicologica, introspettiva, alla maniera di Hopper. In effetti la temporalità, quasi coeva, è foriera di analogiche riflessioni: il nudo sul letto davanti alla finestra del maestro americano è la stessa icona della solitudine che ravviso in Luino nel nudo di schiena sullo sgabello; i letti si possono comparare agli interni dei bar a mezzanotte nelle periferie americane… C’è il languore dell’incomunicabilità, del male di vivere, come scrisse Montale. Ciò è rimarcato da Bernardino Luino soprattutto nell’incisione, predilige l’acquaforte su lastre di rame,  perché questa tecnica sfrutta i toni del grigio. Dalla Sua arte, un elaborato ed accademico realismo, quasi classico nella definizione dei particolari, emerge il lirismo poetico della meta-cosa: il quid oltre l’esperito in un’esplosione di luce che fa condividere universalmente nell’emozione.© Vincenzo Baratella
 
 



opere di Bernardino Luino; sotto L'Artista nello studio.
Il Maestro Luino Bernardino nel suo studio.
Bernardino Luino nasce a Latina nel 1951. A dodici anni, ispirato da Giorgio Morandi, inizia la sua carriera di pittore. Contro il volere dei genitori, continua la sua formazione iscrivendosi prima all’Accademia di Roma, poi a quella di Firenze. Nel 1976 Luino si trasferisce a Milano, dove per un periodo vive nello studio del pittore Gianfranco Ferroni. Nel 1979 Luino, Ferroni e altri quattro pittori fondano La Metacosa. Il 1982 Luino è invitato dalla storica galleria Il Fante di Spade, l’artista è presentato da Franco Solmi, direttore in quegli anni del Museo Giorgio Morandi di Bologna. Negli anni che seguono, Luino è chiamato ad esporre nelle più prestigiose rassegne d’arte nazionali. In pittura, partecipa alla XXIX, XXXI e XXXII Biennale Nazionale d’arte, mentre le sue incisioni sono presentate alla IV, V e VI Triennale dell’incisione al Palazzo della Permanente di Milano e alla mostra Grafica italiana contemporanea, organizzata nel 1982 dalla Quadriennale Nazionale d’arte di Roma.  Nell’82 è prima in Messico, poi a Philadelphia ed infine a New York. Ispirato dalla grande metropoli, dipinge le sue prime scene newyorkesi. Nel 1985 è a New York, alla Gallery Henoch. Durante la mostra, il regista americano Billy Wilder acquista “one of those tiled rooms with the lonely bed in it” (una di quelle stanze con le mattonelle e un letto solitario), dichiarando, in una lettera all’artista: “I love your stuff” (Adoro le tue cose).   Nel 1992 presso la Galleria Appiani Arte Trentadue  l’attenzione si concentra sulle figure e i nudi con catalogo Skira. Nel 2003, alla Galleria Marieschi, Vittorio Sgarbi presenta La luce di Luino. Negli ultimi vent’anni, le opere di Luino sono state incluse in numerose retrospettive d’arte italiana curate da Maurizio Fagiolo dell’Arco, da Philippe Daverio, da Vittorio Sgarbi. Nel 2008 e nel 2010, Luino espone in a Parigi, alla Galerie Déprez-Bellorget, presentando dei paesaggi francesi. Nel 2011 espone una serie di “lenzuoli nella stanza”, nel Padiglione Italiano della 54esima. Biennale di Venezia, con presentazione di Quirino Principe, che scrive della sua pittura: ‘vale ciò che Borges dice degli specchi: “por eso nos alarman”’(è così che ci inquietano). Attualmente, Luino vive e lavora a Milano e a Parigi. A Milano, divide il suo tempo fra lo studio e le aule dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dove insegna Tecniche dell’incisione-Grafica d'arte e dirige la Scuola di Grafica.

La galleria ringrazia la Dott.ssa Chiara Paparella, Direttrice di RADIO  ROVIGO NET
De Santis della Galleria Marini, Bernardino Luino, Sergio Garbato, Emanuela Prudenziato
Alcuni Sig.ri presenti all'inaugurazione di sabato 5.12.2015
Da sin. Paolo Avezzù, De Santis, Vincenzo Baratella, Bernardino Luino, Sergio Garbato
L'Artista Bernardino Luino
Vincenzo Baratella e Bernardino Luino
articolo della Dott.ssa Chiara Pavani su La Nuova Voce di Rovigo del 08.12.2015
foto: Pr.ema©
La rassegna è visitabile tutti i gg. feriali dal lun. al ven. dalle 16,30 alle 19,30
fino al 24 dicembre 2015 in via Fiume, 18 a Rovigo.


martedì 3 novembre 2015

LUIGI MARCON: L'anima nel paesaggio


 
LUIGI  MARCON: L’anima nel paesaggio.

Luigi Marcon è amico e artista; il binomio è per me stretto e inscindibile. Lo conobbi negli anni Ottanta quando una piccola galleria del centro faceva incetta dei migliori; gli stessi con i quali ho mantenuto il rapporto di stima e di amicizia. Trenta, quaranta anni fa l’incisione non aveva tanti proseliti. Si enumeravano quelli entrati nella storia dell’arte e coloro, come  Marcon, che avevano raggiunto livelli esecutivi indiscutibilmente notevoli. La maggior parte degli esecutori attratti dalla grafica producevano quella che ho definito l’incisione essenziale dal segno unico nello spessore e nel tratteggio agitato, frenetico, incerto … la punta secca enumerava i morandiani con la definizione dei corpi attraverso la retinatura fitta, meno fitta. La tecnica più sfruttata era la punta secca e l’incisione al nero. Marcon  si spinse a soluzioni uniche con l’acquaforte, l’acquatinta, la ceramolle. Le calcografie hanno visto interventi  con il sale, lo zucchero, la pece greca e numerosi bagni in acido. Paesaggi mostrano gli acciottolati, il freddo candore della neve, il senso vigoroso delle rocce, l’increspatura delle onde, il senso arcadico nella vegetazione. L’artista di Vittorio Veneto, attraverso l’alchimia degli ingredienti e la sensibilità, fa vedere il paesaggio con innumerevoli toni chiaroscurali, quasi fotografici. Coglie la poesia delle cose e la riporta sulla lastra. Marcon rapisce l’anima del paesaggio. Da ogni stampa emerge un indicibile pathos emozionale. Quasi seimila lastre di zinco e rame prodotte; un lavoro sovrumano. Grandi incisori hanno contato una produzione senza uno zero. Gli studi artistici lo consacrarono all’inizio come pittore, il giovane classico pittore ad olio, poi seguì mezzo secolo dedito all’incisione. Ritrasse Burgen und Schlösser in Deutschland. Nell’ ottocentesimo anno dalla fondazione Landshut gli consacrò uno straordinario riconoscimento: una sala museale per il suo impegno nel riprodurre la città tedesca dalla quale estrasse il francobollo tutt’ora in circolazione in Germania. E’ da ricordare il corpus sulle abbazie dell’Italia (in mostra Novacella). Predilesse le delizie estensi ed in particolare il Virginese di Portomaggiore; nella cittadina ferrarese stabilì una salda e condivisa amicizia con il gallerista-editore Pasini. Ritrasse pure quattro scorci della mia città. In un pomeriggio d’estate del 2008, inforcata la bicicletta se ne andò per Rovigo. Ritornò in galleria alle 18 con del materiale; incise per lo Studio Arte Mosè quattro chicche: Porta S. Bortolo, La chiesa delle Fosse, Piazza Vittorio Emanuele e la Rotonda. Ne fece sei tirature per ognuna; le stampe di Marcon sono solitamente poche. La mostra di acqueforti è una rassegna unica nel suo genere, perché fa comparire un’inimitabile perizia tecnica e un’indiscussa capacità nel cogliere dalla natura l’anima per rimpastarla in poesia.

Vincenzo Baratella

 
 
momento in galleria
Acqueforti di Luigi Marcon.