lunedì 18 dicembre 2017

Sedie all'insù di Gianluca Cappellozza

Comunicato Stampa dell'Autore:
CAPPELLOZZA RACCONTA… ALLO STUDIO ARTE MOSE’ DI BARATELLA

Non vi è volutamente un filo conduttore nell’ultima raccolta di
racconti,Sedie all’Insù Augh Edizioni,di Gianluca Cappellozza sociologo
e filosofo non accademico specialista in organizzazione e gestione dei
servizi sociali che ritorna a parlare a Rovigo, ospite dello studio Arte
Mosè di Vicenzo Baratella sabato 23 dicembre ore 17.30, dopo il suo
Boccasette del 2010. Una società frammentata dove la stanzialità pare non
appagare. Un libro da leggere rivolto alle nuove generazioni che nei
contenuti tocca temi d’attualità e di prospettiva lavorativa: mobilità,
turismo, pensioni, assistenza alle persone anziane. Tratteggi di ipotesi
di occupabilità futura già attuabile con possibili scelte decisionali
politiche immediate. Lavorare con gli anziani, ripensare la previdenza e
la mobilità casalinga e urbana nei piccoli paesi creando nuova
occupazione sfruttando l’esperienza dei “mezzo secolo”. Una macchina da
ripresa che estende il suo obiettivo dall’Adige al Po nella terra
stretta tra due fiumi importanti nella geografia italiana. Non una
storia ma varie storie tra luoghi del delta polesano e paesi come
Contarina Donada oggi Porto Viro, Porto Tolle, che si esprimevano fuori
provincia con un calcio vigoroso negli anni settanta. Città di
provincia, come Verona, che si sono contraddistinte nel tempo per la
musica, lo sport, lo spettacolo, l’industria paiono unirsi in un filo
conduttore con il Delta Polesano in uno “sposalizio” tra produzione
alimentare – agricola, turismo di visitazione – cultura senza
dimenticare la pesca del delta che guarda all’Adriatico. Tutto mutato o
quasi? Oggi forse più di ieri parte di una generazione si chiede quanto
l’immagine comunicativa televisiva trash abbia inciso nei costumi nei
comportamenti quasi a permeare tutto dai contratti di lavoro alla
fruizione della sanità da pubblico a privata. Cosa rappresenta oggi il
gossip televisivo, per generazioni che hanno vissuto con un piede nel
novecento e uno nel nuovo secolo, in una immaginaria macchina da
scrivere e del tempo dove dalla penna al calamaio quella stessa
generazione si è trovata quasi scaraventata senza accorgersene in un
mondo 4.0 che spinge da est? Chi primeggia oggi in una società digitale?
Chi ha vinto e chi ha perso? Siamo solo al primo tempo di una partita da
90 minuti? Ai supplementari chi ci andrà? Sedie all’Insù narra a
racconti una società che pare risucchiata da un vortice con un punto
fermo nel Delta Polesano. Dialogherà con l‘autore il Prof. Vincenzo
Baratella. Gianluca Cappellozza -
foto Anna Domemica Perlotto







sabato 16 dicembre 2017

COLLETTIVA DI NATALE 2017 allo Studio Arte Mosè




Collettiva di Natale 2017

presso lo  “Studio Arte Mosè”





La rassegna presenta da una a due opere per autore, tenendo conto anche della voluminosità delle stesse. Le partecipazioni che segnano la presenza costante nello Studio Arte Mosè sono: Baratella Mosè con due opere: “mele verdi” degli anni Ottanta in cui accentua il realismo forte e materico e “Susanna e i vecchioni” degli anni Settanta. L’artista polesano, che ha dato il nome alla galleria, si è dedicato alla pittura per tutta la vita. Breseghello Gisella, con “Fiori”, gessetto e pastello, mostra la straordinaria abilità tecnica. Calabrò Vico, eccezionale grafico vicentino, attraverso le sue acqueforti e litografie riafferma la passione per la sua terra veneta per le tradizioni ed il teatro, in particolare quello goldoniano. Nella più parte delle opere angeli-musici dichiarano il suo amore incondizionato per la musica. Costa Pietro, dal superbo realismo, ama giocare con i classici dosando abilmente il vecchio e il nuovo in un piacevolissimo connubio. Forno Osvaldo, appena conclusa una personale “Palcoscenico della vita con riflessioni metafisiche”, è presente nella collettiva con l’olio “vaso con foglie di magnolia”: opera dai toni chiaroscurali classici e dal trasporto poetico. Gulmini Giancarlo, abile nella compattazione simbiotica china-acquarello, nella “Pensilina” riporta alla mente i dolci ricordi di una Rovigo anni Cinquanta, dai cieli tersi e dalla onesta frenesia della ricostruzione post-bellica. Lorenzetti Raimondo, artista veronese, con un’opera intitolata “La vita” spacca anche l’ultimo filo che si tende tra la ragione e l’irrazionale. I “personaggi” rappresentati nel dipinto assistono agli eventi del mondo secondo un’ottica in tutto e per tutto innocente e anticonformista.  Marcon Luigi, caro al pubblico rodigino e alla Galleria con i quali è legato da consolidata amicizia e stima da parecchi lustri, con la maestria unica, singolare, dell’acquaforte-acquatinta, è nella rassegna natalizia con due incisioni ed una di grande formato “Romatica Rothenburg”. Maria Grazia Minto, diplomata al Liceo Artistico di Padova, afferma: “Fin da giovanissima disegno e dipingo; ogni cosa che si pone al mio sguardo diventa ispirazione: paesaggi, campi fioriti, nature morte oggetti di uso quotidiano …le fanciulle mi accompagnano al rifugio sicuro dell’infanzia, dove tutti noi abbiamo sostato felici e protetti  dall’amore certo”.  Impero Nigiani, nato a Incisa Valdarno, vanta un’intensa attività artistica ricca di personali e collettive. Nel 1996 Giorgio Di Genova lo inserisce “Nella storia dell’Arte italiana del 900”. Nel terzo millennio illustra versi di Ovidio e di Dante. Quella di Nigiani è un’arte erudita, fuori dai canoni e dalle strutture delle correnti. Nella rassegna presenta una cartella con le vicende di Don Chisciotte; con quaranta opere sul tema, l’artista fiorentino è ora in mostra a Firenze. Paggiaro Vilfrido nella collettiva con il tema a lui caro il fico d’India: “il Fico Mistico”. Nella metafora emerge la carnosità dei cladodi, la sensualità del fiore e nel contempo la vulnerabilità; ha bisogno di una copertura di spine. Come in ogni visione teologica s’alterna il dualismo bene e male, nel Fico Mistico emerge l’umano sarcasmo. Vilfrido lo colloca sopra gli umani, nel labirinto onirico. Fico Mistico è nel sogno collettivo, per dare la scossa alle emozioni, soprattutto quelle dell’infanzia, con la gioia della ripresa, della riproposta, il ritorno degli  eroi buoni… “arrivano i nostri”. Sono nella rassegna due grandi oli che segnano le tappe significative della plurima esperienza artistica di Angelo Prudenziato. Opere storiche degli anni trenta, “La lettera” e “Saccarosio”,  che sfociano in esuberanti ricerche “futuriste”. La presenza di Angelo Prudenziato non poteva privare le “cortecce”:  ricerche tecniche esperite con l’impeto dell’Artista desideroso di compattare le soluzioni grafiche al torchio con le coeve astratte esperienze. Rigoni Paolo esibisce  la cronaca assillante oltre il bello. Il sostrato è inquietante, pressante. Sopra le carte incollate,  dal fondo emergono le creature sensibili. La pagina di quotidiano spunta a tratti sulle opere allo scopo di dare dignità sensibile al soggetto trattato in contrapposizione alla tempesta dei media. L’universalità contro l’imbarazzate bombardamento mediatico. Significativa l’opera esposta nella quale l’individuo stressato dal cumulo di notizie urla. Nell’opera di Munch la paura è per l’insidia imminente, per Paolo l’urlo è un atto catartico. L’individuo schiavo delle vicende, esagerate dai mezzi di comunicazione, si lascia andare nel solipsistico grido liberatorio “basta”. Mariano Vicentini, fuori dal contesto di qualsivoglia corrente, pur emergendo nella comunicazione continuatore della popular art, l'artista veronese al bene di consumo aggiunge il tema di fondo, il motivo conduttore: le ansie, le paure, le previsioni, le imposizioni. Con “Altare della Patria” dichiara ancora una volta l’anticonformismo ed il crollo dei valori con l’ausilio di una simbolica ruspa.

                                         Vincenzo Baratella

***





mercoledì 22 novembre 2017

Osvaldo Forno allo Studio Arte Mosè



comun. Stampa

Sabato 2 dicembre 2017 alle ore 18, nella galleria “Studio Arte Mosè”
di Rovigo, in via Fiume, 18 inaugurazione della personale tematica “Palcoscenico della vita  con meditazioni metafisiche
opere di
OSVALDO FORNO
La mostra nello Studio Arte Mosè di Rovigo sarà aperta dal 2 al 20 dicembre 2017
tutti i giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle ore  16,30 alle ore 19,30.
Curatore  Dott. Vincenzo Baratella
La mostra raccoglie una quindicina di opere, in prevalenza olio su tela e disegni, di Osvaldo Forno
nato a Rovigo nel 1939 e vive a Polesella(RO). Inizia a dipingere nel 1959 come autodidatta. Nel 1964 consegue il diploma presso l'I­stituto d'Arte di Castelmassa (RO). Dal 1971 insegna presso l'Istituto Dosso Dossi di Ferrara. Artista con multiformi interessi si è sempre collocato al centro delle più attuali problematiche. Dal 1961 ha partecipato alle più importanti rassegne d'Arte italiane, ottenendo notevoli e ripetuti riconosci­menti. Da ricordare sono i premi ottenuti a Copparo (FE) nel 1968; a San Benedetto Po (MN) nel 1977-78; a Ferrara con il "Lascito Nicolini" nel 1979. Ha illustrato  «II Decamerone» di Boccaccio e il “Museo Boccaccio” di Certaldo conserva sue illustrazioni. Opere sono presenti nelle collezioni delle C.C. di Risparmio di Padova - Rovigo e all’Università per gli Studi di Ferrara. Come operatore culturale ha diretto a Rovigo con Gabbris Ferrari la Galleria d'Arte "Programma ART" dal 1969 al 1970. Nel 1979 è incaricato per le attività artistiche alla Roc­ca Possente di Stellata, Bondeno (FE). Partecipa ad Arte Fiera (Bologna) negli anni 1987-88-89. Nel 1991 il Circolo Culturale "Gino Piva" gli conferisce il Trofeo "Fetonte" per la scultura. Dal 1994 un suo bronzetto è Trofeo del premio "Città di Rovigo". Dal 2000 al 2001 ha diretto la Galleria "La Porta Verde ". Sue opere fanno parte della collezione "Generazioni Anni Trenta " al Museo Bargellini di Pieve di Cento. Lo "Joung Museum" di Revere (MN) nel 2002 ha acquisito suoi lavori. Nel 2003 ha esposto ne "La Pescheria Vecchia " di Este (Pd) e alla 50a Biennale di VE.
 “Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est?” Con questo interrogativo, dal tono retorico, Giorgio De Chirico iniziava l’indagine sulle cose e sull’uomo, oltre il sensibile, oltre la logica. Il concetto di enigma, indubbiamente innescato nella speculazione filosofica schopenhaueriana e nietzscheiana, è stato tanto ambìto nel secolo scorso da trovare seguaci in numerosi artisti. La  metafisica, perdendo l’originario intento ontologico dopo la “morte di Dio”, ha trovato fertile humus  nel labirinto delle idee introspettive e feconda continuità.  Osvaldo Forno è in questa rassegna un prosecutore sui generis. Alla quindicina di opere esposte allo Studio Arte Mosè, nella rassegna di dicembre, ho voluto dare il comune denominatore nelle tematiche con il titolo: Palcoscenico della vita con meditazioni metafisiche. Attraverso il linguaggio e la tecnica, pur evidenziando i distinguo da altri artisti, della metafisica, Osvaldo indaga l’uomo ed il contesto sociale. Questi sono attori e spettatori, nei reciproci scambi delle parti. La maggioranza calca il palcoscenico su cui si recita il ruolo della vita;  il sipario, quasi sempre a tinte sgargianti, a righe come le tovaglie per un desco di compartecipazione, si apre sull’enigma dell’essere e La finestra dell’io respira orizzonti da scoprire.  Vincenzo Baratella
il gazzettino 1.12.2017
la voce 5.12.2017

































il gazzettino 6.12.2017






mercoledì 11 ottobre 2017

Mosè Baratella: Che cosa è successo?
























Mosè Baratella, il pittore del Canal Bianco.
di Graziella Andreotti
“Studio Arte Mosè” è la galleria che Vincenzo Baratella ha voluto dedicare al padre Mosè e che gestisce assieme alla moglie Emanuela Prudenziato, cugina del pittore Angelo Prudenziato, nel comune amore per l’arte. Unica galleria a Rovigo ad avere il coraggio di proporre ogni mese giovani artisti sconosciuti accanto a chi la fama l’ha già conquistata.
Mosè Baratella (Pontecchio Polesine 17 novembre 1919 – Rovigo 23 aprile 2004) lo conobbi alla fine dei mitici anni Settanta, quando entrai a far parte del Gruppo Autori Polesani, fondato dal commediografo Miro Penzo. Il gruppo molto vivace era riuscito a raccogliere poeti, scrittori, storici, pittori, giornalisti, librai, giovani e meno giovani, molti esclusi dal gotha della cultura rodigina ma anche accademici dei Concordi e storici della Minelliana nascente. Succedeva così che i pittori offrissero le proprie tele per premiare i poeti. A distanza di tempo, sfogliando le pagine del periodico “Autori Polesani”, affiorano le firme di grandi figure accanto a giovani in erba scomparsi dalla scena.
Mosè Baratella era stato coinvolto dal poeta Alberto Marzolla, compagno di classe alle elementari e poi partigiano internato nei campi in Germania. Faceva parte di questo movimento di autori polesani e veneti, pur tenendosi in disparte.
Baratella era un grande artista, che aveva dedicato tutta la vita alla pittura, alla scultura e alla grafica, riconosciuto e stimato fuori ma non negli ambienti chiusi e ristretti della sua città, dove a dominare erano i professori di disegno. Erano gli anni di Angelo Prudenziato, di Gisella Breseghello, di Edoardo Chendi, di Osvaldo Forno, di Gabbris Ferrari, di Beppe Giuliani, di Ilario Bellinazzi. Lo scultore Virgilio Milani, dopo aver lasciato tante terrecotte e sculture in marmo e in bronzo, moriva nel 1977. Rimaneva Cesare Zancanaro con le sue opere in ferro, rame e argento. Paolo Gioli, fotografo sperimentale, pittore e regista, ospite di Milani fin dalla giovinezza nella casa di Viale Trieste, tentava l’America, Roma, Milano, Venezia. Ora vive in romitaggio con moglie e gatti nella campagna di Lendinara sotto l’Adige. Forse l’unico noto nell’ambito delle biennali veneziane, è sconosciuto al grande pubblico polesano.
Mosè Baratella non poteva lasciare come Gioli le atmosfere nebbiose della sua città. Il lavoro, la famiglia, la moglie gelosa di tutti quei ritratti femminili erano una prigione per i voli della sua arte.
Il figlio Vincenzo ricorda un calcio dato dal padre a un ritratto che rappresentava una signora in costume da bagno, incontrata sul lago di Como, con la quale c’era stato anche un rapporto epistolare ma forse nulla di più. Quel calcio sacrilego aveva procurato uno strappo alla tela ma aveva portato la pace in famiglia.
Una dolce signora di Rovigo racconta gli incontri con Mosè, presso la libreria Spaziolibri di Giolo Cattaneo, a parlare d’arte, a godere con lui delle opere terminate la notte prima.
Alcuni dei suoi dipinti sono stati attribuiti a un pittore di fama internazionale – ma di quel pittore è stato aggiunto solo il nome - e Mosè ha fatto in tempo a subire questo ennesimo affronto. Ne vide uno – a pochi anni dalla morte – in una grande mostra allestita a Rovigo. Borbottò qualcosa ma non reagì, – com’era nel suo stile. Forse malinconia o forse finalmente grande approvazione in un’identità rubata.
Sono migliaia le opere di Baratella. Impossibile contare quelle presenti nelle case. Ogni tanto si incontra qualcuno, felice di possedere una natura morta, un ritratto, un paesaggio, un olio, un gessetto, una matita di Mosè.
Era consapevole del valore delle sue creazioni, ma si sentiva incompreso come Ligabue, si sentiva – a torto – inferiore agli accademici. Qualche centinaio gli autoritratti nei quali Baratella si rappresenta, spesso con le sembianze di Ligabue. Un'ossessione non momentanea ma lunga negli anni, affidata a cromatismi vivaci e intensi, a deformazioni formali provocanti, a occhi tristi e stralunati, a bocche spalancate, per esprimere un'inquietudine mai sopita, un grido di dolore e di rabbia, un'amarezza che lo faceva diventare Ligabue, Munch, Van Gogh, Napoleone, Beethoven, re, sultano, ciclista, corsaro, gallo, aquila, lepre.
Padrone di mezzi e tecniche, succedeva che amici pittori ricorressero a lui per completare una mano o un occhio che non venivano. Mosè acconsentiva e non chiedeva nulla.
Studiava, leggeva libri d’arte, conosceva tutto dei grandi pittori del passato. Assiduo frequentatore delle biennali, ha interpretato le correnti del Novecento, creando lo stile di Mosè.
Uomo del proprio tempo, è passato dalla pittura en plein air, con angoli cittadini e paesaggi polesani, alle nature morte, ai ritratti, agli autoritratti, alle rappresentazioni del periodo del dissenso, alla serie “le piazze d’Italia” fino alla Maternità, un olio del 2003, a pochi mesi dalla morte. Negli ultimi decenni del Novecento, abbandonando la pittura accademica da cavalletto e da atelier, si apre ai temi sociali, alle battaglie sindacali, alle contestazioni. E la sua reazione al passato esplode in soggetti nuovi, in linee e tonalità che esprimono il divenire di una cultura in rapida evoluzione. Quadri che avrebbero trovato degna collocazione solamente nella dimora di Peggy Guggenheim a Venezia.
L’opera di Mosè cerca ora finalmente grandi spazi per essere goduta e apprezzata: un intero Roncale, un Roverella. Ma Rovigo non è cambiata.
Mosè teneva in casa rotoli di tela per tagliare ogni giorno il pezzo necessario. Costretto spesso a usare l’olio sulla carta – costava meno di una tela - per non rinunciare alla prorompente vena creativa. Vendeva o svendeva per pagarsi le sigarette Astor, i colori, le tele, le cornici, senza intaccare il suo modesto stipendio di impiegato. E dopo il lavoro, a sera, sempre per arrotondare, a dipingere madonnine per i devoti.
A vederlo sembrava la persona più tranquilla ma, con il suo atteggiamento sornione, aveva dato filo da torcere ai gerarchi fascisti. No, il sabato fascista non era per lui: non voleva né sfilare né cantare Giovinezza, Faccetta nera o La sagra di Giarabub. Preferiva il silenzio della guardina dei carabinieri a Polesella. A sera, era già a casa.
Negli ultimi decenni di vita lo si poteva incontrare in piazza Vittorio Emanuele II, non alto, elegante, il cappello a larga falda, un Panizza di paglia di riso d’estate o un Borsalino di feltro d’inverno, la sigaretta in mano, poche parole, due grandi occhi azzurri e un fascio di tele o di disegni in una cartellina o arrotolati sotto il braccio per l'approvazione degli amici o di qualche acquirente.
Se lasciava la casa di via Viviani, appena fuori le mura, passato il Volto di San Bortolo, lo faceva per raggiungere la quiete della campagna con il poeta Alberto Marzolla, con il professor Alfredo Turolla e con gli amici di Pontecchio e Bosaro nella vecchia casa lungo il Canal Bianco. E qui fu incantato da due lavandaie, la Pina e la Renata Filippi, che sciacquavano i panni nelle acque che bagnavano la Campagna Grande – ora del conte Valier - che dipinse più volte negli anni Cinquanta e che riprodusse negli anni Ottanta. Il figlio Vincenzo conserva una foto scattata dal fratello delle Filippi con lo stesso soggetto.
Vincenzo sta cercando di rendere giustizia alla produzione abbondante e poliedrica del padre negli spazi della sua galleria, ritrovo di artisti veneti, friulani, toscani, lombardi, emiliani, marchigiani, romani. Qui sono passati in molti, pittori e critici d’arte. Alcuni, come Raimondo Lorenzetti e Toni Zarpellon, hanno avuto l’onore della Biennale; Vico Calabrò ha illustrato i canti di Bepi De Marzi; altri sono scomparsi ma sempre vivi e presenti nelle loro opere conservate presso grandi pinacoteche.
Qui si incontrano artisti, storici, poeti, giornalisti, musicisti, polesani e non polesani, per parlare d’arte e di cultura. Si può dire che lo Studio Arte Mosè abbia preso il posto dello studio di Antonio Romagnolo, storico e critico d’arte, quando era direttore della pinacoteca dell’Accademia dei Concordi. La vera accademia, il vero gotha rodigino è qui nel colore e nelle suggestioni dell’arte, nell’amore e nella gioia che Vincenzo ed Emanuela sanno trasmettere. Finalmente un luogo in cui si può ancora parlare d’arte, a tu per tu con l’artista. E da qualche mese è entrata anche la musica con il maestro Pajarini ad allietare le vernici.
L’ospitalità di Vincenzo e della moglie Emanuela era riuscita a conquistare persino la ruvida scorza di Gian Antonio Cibotto. Fino a qualche anno prima della morte, lo scrittore rodigino, dopo un saluto alla Madonna di Pompei nella chiesetta delle Fosse, amava trascorrere i pomeriggi in affabile conversazione sul divano della galleria, a pochi passi dalla sua villa in Viale Trieste. Allora si scioglieva nei ricordi del periodo romano, da Guttuso a Picasso, da Visconti a Fellini. Quel Cibotto che a Leo Longanesi, che gli chiedeva di ristampare Cronache dell’alluvione, aveva risposto: “Mi consideri estinto”. (Copyright Dott.ssa Graziella Andreotti)



MOSE’ BARATELLA:  
Che cosa è successo? 
E’ la continuazione delle tematiche, sempre di attualità, emerse in parte nelle opere esposte al pubblico nella rassegna di un anno fa. In quella occasione proposi disegni, gessetti, matite, oli sotto il comune denominatore Preoccupanti coeve verità di Mosè. L’ingente produzione artistica di Baratella trovò fonte d’ispirazione dalle plurime esigenze di emancipazione, dagli avvenimenti socio-politici, dai mutamenti di costume che si svolsero, anche attraverso aperta violenza, durante l’ultimo trentennio del secolo scorso. Buona parte dell’opera pittorica di Mosè Baratella non fu immune dall’attrazione ispiratrice nei fenomeni sociali e di cambiamento troppo veloci nel passaggio e altrettanto incisivi e decisivi sulla mentalità comune, costretta a mutare modo di vita e di pensare in modo rapido e repentino. Mosè s’accorse che era finito il tempo del paesaggio estemporaneo, en plein air, delle nature morte pseudo accademiche con lo sfondo scuro, delle figurine statiche a sanguigna.  In una manciata di decenni, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Settanta, Ottanta, le innovazioni e, proporzionali a queste, i modelli di vita ostentarono i cambiamenti e l’adattamento ad essi. Dal carro all’autovettura popolare, dalla donna sottomessa nella famiglia patriarcale al sex symbol, alla emancipazione, all’autodeterminazione nel  procreare, alle pari opportunità con la velocità dello tsunami. Dalla neonata repubblica, dopo il Ventennio, emergono, con le ricostruzioni ed il boom, le battaglie sindacali, gli scioperi, gli statuti, le tutele di categoria. S’alternano i partiti e con essi destra, centro e sinistra… poteri e scontri forti che sfociano in stragi, attentati e anni di piombo. Mosè, il pittore da atelier come quelli della sua generazione, appese il grembiule al cavalletto, e pur non ignorando la sua produzione che garantiva la qualità tecnica, formale e contenutistica delle opere  legate al realismo, a connotazione museale - i ritratti e gli autoritratti seguirono questa metodica fino all’ultimo giorno di vita dell’artista -, mostrò spiccato interesse per il sociale nelle più complesse articolazioni. I temi sviluppati si estendevano dai fatti  di cronaca, mai fine a se stessi, alle discutibili esibizioni di una società incanalata nel flusso di torrente mutevole. Un fil rouge che lega  l’opera di Mosè all’effetto rappresentato al suo dante causa. La reazione al passato palesa avvenimenti di disagio nella massa e innesca un processo di avvenimenti consequenziali ai quali c’è dipendenza pure ai giorni nostri e per i quali sorge il quesito: come e cosa è successo? In questo stile la narrazione di Mosè Baratella anticipa gli effetti della realtà a lui contemporanea. Ciò è un pregio che lo rende ex grege tra gli artisti del Novecento.  Vincenzo Baratella 








































mercoledì 27 settembre 2017

Gian Antonio Cibotto e ritratti in galleria

Rassegna inserita nell'ottobre rodigino.
Presentazione del libro\catalogo di Baratella Vincenzo su Gian Antonio Cibotto.
Un libro che ricorda momenti piacevoli e pregni di cultura nello Studio Arte Mosè.
La presentazione libro è nella Sala Gran Guardia di Rovigo, piazza V. Emanuele II..