venerdì 29 novembre 2019

L'incessante ricerca di Angelo Prudenziato 1907-1980


L’incessante ricerca di Angelo Prudenziato
Con una tesi sugli affreschi di Giotto agli Scrovegni Angelo concluse all’Accademia di Belle arti di Bologna l’iter degli studi iniziati a Venezia. Il maestro ed amico Virgilio Guidi, trasferitosi nel capoluogo emiliano, portò al seguito e al diploma il giovane rodigino, già allievo di Saetti e di Morandi. Correva l’anno XIV dell’era fascista, anno pieno di fermenti per le arti che dovevano in tutti i modi celebrare l’impero, la grandezza di Roma ed il suo Duce. Le dinamiche del brucia il vecchiume, via biblioteche stantie e guerra igiene del mondo, come aveva esposto nel Manifesto del Futurismo già nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti, erano incentivi propulsivi alla ricerca per i quali era quasi impossibile frenare i giovani artisti recalcitranti. Angelo, nato nel 1907, a Borsea, un borgo periferico della città di Rovigo, avvertiva i cambiamenti e gli stimoli per nuovi codici comunicativi dell’arte: il futurismo divenne occasione. Forte il sodalizio con i futuristi con i quali instaurò un legame di amicizia e di scambi informativi. Nel 1932 inizia la carriera artistica alla rassegna di Ca’ Pesaro e l’anno seguente alla prima Mostra Nazionale d’Arte Futurista di Roma. A Lonigo presenta tre capolavori con soggetto scientifico: Industria oggi, Bolide-strada e Saccarosio (opera esposta di recente allo Studio Arte Mosè). Nel 34 è un protagonista alla Prima Mostra Sindacale d’Arte Polesana, presentando un autoritratto con testa fasciata di reminiscenza vangoghiana. Ai Littoriali della Cultura a Roma, oltre ad incisioni e bozzetti pubblicitari espone Atleta in riposo. Nell’estate del 1936 il Salone del Grano lo vede segretario ed artefice della Seconda Mostra Sindacale d’Arte Polesana (in quell’occasione figurano le opere di due concittadini Milani e Fioravanti). E’ da evidenziare che gli anni Trenta, parallela alla produzione innovativa futurista, Angelo concepì straordinari ed eleganti nudini, figure di donne con un realismo accademico ineguale. Le contingenti necessità esistenziali avviarono Prudenziato alla professione d’insegnante. E’ a Palermo nell’autunno del 1936 fino al 1940; dal 1940 al 1943 è a Napoli e dal 1943 al 1946 è a Cecina di Pisa. Nel 1947 entra in ruolo come insegnante a Rovigo; l’anno successivo si sposa. Nell’aneddotica del Maestro vale ricordare: dipinse “Giornata grigia a Venezia” in Sicilia per la XXII Biennale di Venezia imprimendo nel quadro la desolata atmosfera lagunare portata nel cuore piuttosto che ripresa dal vero. Lo scorcio di paesaggio con una garitta, il cono vulcanico del Vesuvio il mare partenopeo non gli evitarono l’arresto da parte dei ufficiali tedeschi (1942), che lo ritennero una spia atta a fissare le postazioni militari sensibili… il preside della scuola venne in aiuto per far scarcerare l’esuberante matita; gli schizzi saranno preziosi fermi immagine per le incisioni. Trasferito a Cecina di Pisa è instancabile incisore di paesaggi; gli anni quaranta è ispirato da cipressi, palme, stradine abbarbicate sui declivi, case contadine, borghi. Con meticolosa precisione ritrae aquile, caprioli, cavalli, pecore, asini in un continuum instancabile come prove grafiche per affinare il “periodo anni cinquanta” degli animali da cortile. A ragione è opportuno suddividere, con scansione quasi decennale la prevalenza tematica di Prudenziato: dopo anatre, galline, faraone, galli… negli anni sessanta si presenta al pubblico rodigino come gallerista. Su Corso del Popolo dà vita alla galleria Eridano presentando i maestri conosciuti e già entrati nella storia dell’arte unitamente ad alcuni polesani emergenti. Allestì personali di Virgilio Guidi, Cesco Magnolato, Bruno Saetti, Gina Roma, Gastone Breddo, Ottorino Stefani… Tuttavia il clima culturale del capoluogo polesano, troppo ottusamente circoscritto, non supportò le aspirazioni, né aiutò i voli dell’artista, mortificato nella stagione dell’insegnamento; anzi fu osteggiato quando si attivò per l’apertura di un istituto d’arte a Rovigo. Negli anni Settanta, ricchi di trasformazioni sociali, politiche e culturali, Angelo riprende la sperimentazione: stampa le cortecce. E’ il trait-d’union tra l’uso classico della pratica dell’incisione, il recupero della bellezza della natura ed un linguaggio nuovo d’arte. Quante legittimazioni per la scelta dei colori, i verdi e le ocre, le zone d’ombra naturale nello spessore impresso sulla carta…e la vecchia cartella di scuola capiente contenitore per la raccolta delle scorze di platano ancorata alla canna della bicicletta. In mostra, accanto ad opere significative di Angelo Prudenziato ho voluto riproporre La bicicletta, sintesi di un concetto e di una stagione. L’opera straordinaria è stata vista dal pubblico solo una volta e precisamente nel 1981 a Palazzo Roncale, l’anno dopo la morte dell’artista. ©Vincenzo Baratella
A.Prudenziato, acquaforte, 1954, Corso del Popolo di Rovigo
A.Prudenziato, cortecce e acquaforte, La bicicletta, 1970
Angelo Prudenziato
Il gazzettino 20.10.2019
Momento inaugurazione
Momento inaugurazione
opera di Angelo Prudenziato
Momento inaugurazione con la gallerista Emanuela Prudenziato

lunedì 28 ottobre 2019

Mosè Baratella allo Studio Arte Mosè


MOSE’ BARATELLA: 1919
ARTISTA DEL SECOLO BREVE
Una data che a scriverla suscita il sorriso, sembra un gioco ripetere dei numeri per ottenere un effetto visivo particolare: l’uno assomiglia ad una persona ritta in piedi; i due nove ricordano i monocoli sul naso, nel vezzo austero di fin de siècle. Un’interpretazione che rimanda alle contraddizioni di due secoli: quella della nobiltà e della servitù ottocentesca contrapposta al secolo breve della borghesia e del proletariato. Nasce il 17 novembre;  importante ricordare che si tratta dell’anno subito dopo il primo conflitto mondiale, un’epoca che ha visto posizioni ideologiche scontrarsi per dare una soluzione concreta ai problemi del popolo sconfitto soprattutto dal punto di vista economico, sociale, dalla classe dirigente, da chi deteneva il potere e voleva dimostrare la propria forza e superiorità. Un discorso troppo lontano dalla realtà delle persone comuni, desiderose di avere semplicemente la possibilità di costruire il proprio avvenire in modo decoroso distaccato da velleità pindariche, rispettoso delle regole, dei diritti e dei doveri, anche se ancora definiti sudditi e non cittadini. Il pensiero della gente comune è molto chiaro e lineare perché possiede l’onestà morale (come si diceva una volta) del dire e del fare. Si tratta degli elementi che costituiscono la formazione di Mosè come uomo e come artista. Non ultimo l’approccio alle convinzioni religiose vissuto intimamente nel modo più puro: quello del Vangelo, senza ostentazione di accettazione o ricusa di nulla, ma testimoniato con la vita in modo autentico. Ha vissuto la prima giovinezza durante il fascismo e il secondo conflitto mondiale. Tutto ciò non ha condizionato la personalità e il suo pensiero; è rimasto sé stesso senza compromessi, difendendosi dalle continue vessazioni politiche con ironia, capacità e determinazione d’animo. Al termine del ventennio, nell’Italia liberata che ha visto il cambio repentino nel colore delle camicie è stato un narratore obiettivo ed imparziale dei fatti accaduti e vissuti in prima persona. Grazie alla pittura si è manifestato critico delle improvvise metamorfosi politiche e degli atteggiamenti buonisti per interesse particolare. E’ rimasto moralmente ferito per la sua coerenza, come coloro che agiscono senza secondi fini e con lealtà. Compare la simbiosi di uomo-Artista coerente, scevro da melliflui compromessi e dall’adattamento di comodo agli schieramenti; tuttavia questo modus d’integrità morale ha frenato l’ascesa al successo nei ristretti circoli cittadini e nelle conventicole. In effetti vale anche per Mosè il nemo profeta in patria; ebbe riconoscimenti e gratificazione per la sua arte in altre città. Venezia, Verona, Padova, Ferrara gli attribuirono gli onori che meritava per un’esistenza spesa interamente per l’arte. In effetti sin da bimbo il vecchio maestro Sebastiano scorse in lui un ineguagliabile talento nella pittura ed un disegno fluido e deciso. Quante madonnine fu costretto a dipingere, olio su carta, per quel benedetto maestro! Negl’anni del fascismo, dopo alcune esperienze che lo possono affiancare ai futuristi, rinnegò l’arte marinettiana avvezza al cambiamento di parte per abbracciare  il realismo accademico  con influenze dalle tematiche sociali che giungevano da oltre cortina. Gli anni sessanta lo portarono ad indagare sulla funzione della luce soprattutto nella natura morta che doveva prioritariamente far affiorare dai colori i profumi e la consistenza degli elementi rappresentati e liberò gli oggetti dalla costrizione accademica dei contorni: la luce doveva definire i corpi. La figura umana con un rigoroso studio dell’anatomia artistica  fu e rimase per sempre un altro dei soggetti preferiti; sono da menzionare gli innumerevoli ritratti, le figure negl’interni che realizzò. L’accumulo d’esperienza  sia attraverso l’esercizio quotidiano del dipingere e disegnare, sia nel raffronto con i maestri contemporanei e del passato che gustava, condivideva o dissentiva nelle superbe rassegne d’arte nazionali. Il cambiamento epocale degl’anni settanta, con le lotte studentesche, la questione operaia, i temi sociali quali il divorzio, l’aborto, fu  uno dei motivi ispiratori per una pittura fuori dagli schemi usuali  che tanto rimanda nella forma all’espressionismo  tedesco  e all’oggettività, per poi continuare fino agl’anni imminenti la morte a una figurazione personalissima. Le sue visioni del mondo possono ben dirsi anticipatrici di un globalismo in cui il nihilismo diventa motivo propulsore del dibattito sulle incertezze. Dall’osservazione delle opere, siano esse oli o grafiche, si inizia a conoscere Mosè, a dialogare, a discutere dei problemi, delle contraddizioni, dei moralismi, delle falsità perbeniste, della smania di potere, delle prevaricazioni dei diritti, dei soprusi, delle cattiverie, meschinità della vita che tutti conosciamo, ma esiste anche chi finge di non vedere. E’ proprio questo che l’Artista sottolinea, soprattutto con realizzazioni grafiche molto efficaci. Nelle opere ad olio si rilevano momenti poetici particolari. Le nature morte parlano del privato. I ritratti evidenziano il carattere e lo spirito di chi immortalava. Dai numerosissimi autoritratti, oltre un centinaio di soli oli, emerge da ognuno il carattere  in sintonia con la situazione del vissuto personale; ci sono la rabbia, la gioia, lo sbigottimento, la perplessità, la riflessione, la sofferenza all’unisono con i peculiari momenti dell’esperienza dell’artista nel suo inserimento nei contesti mutevoli della società siano essi nel costume, nelle rivolte, nei cambiamenti politici e nelle ingiustizie sociali. I paesaggi trasmettono l’atmosfera che lo ha ispirato, lo stato d’animo, ma anche la sensazione del clima (piccolo quadro di donna in piedi sulla spiaggia con asciugamano e i capelli biondi raccolti). L’uso dei colori rispecchia la personalità di Mosè, l’interpretazione di ciò che lo circonda, il senso della leggerezza di un fiore, la trasparenza di un vetro, mai convenzionale, sentita, vissuta, il profumo delle arance, il sapore del cibo in un disordine “ordinato” della quotidianità familiare, complice fonte d’ispirazione. ©Emanuela Prudenziato

Prolusione della gallerista Emanuela Prudenziato 
momento inaugurazione


venerdì 6 settembre 2019

Francesco Scarfone allo Studio Arte Mosè

L'incontro, un anno fa, con Francesco Scarfone è stato accompagnato dall’Uroburo in una diversa, insolita, interpretazione del San Giorgio che ha aperto la strada per un connubio con la galleria Studio Arte Mosè. Il serpente mitologico che mangia se stesso dalla coda, e nell’atto fagocitandi si rigenera, enuncia la ciclicità sempiterna del bene e del male in una continua lotta. Nell’azzardata concezione moderna è l’autoritratto dell’artista nelle vesti di San Giorgio. Occasione, questa, di porsi al centro del disco mitologico della perpetua indagine di una identità artistica, di un proseguo nell’amalgama delle troppe correnti che hanno caratterizzato l'ultimo cinquantennio artistico. È proprio nella ricerca di una peculiare identità nel frammisto, variegato, spettro di luce dei grandi che Francesco indugia a ripercorrere vie di altri grandi e sperimentare. È innanzitutto un provetto disegnatore. Una volta interpretato l'oggetto, solitamente teste, figure, libera una linea marcata con il colore, un accostamento deciso alla Guttuso, conterraneo, per rendere efficace la lettura della grafica e la totalità del soggetto rappresentato. È un disegno pieno di emozione, quello di Scarfone, capace di far scaturire molteplici sensazioni. Suggestioni forti nella comunicazione del momento esperito, in sintonia con l'animo tedesco del secolo scorso. L’artista siciliano, naturalizzato trevigiano, ha un'essenza di vita artistica autonoma, nonostante alcuni tratti esecutivi di spontanea immediatezza rimandino a Schiele. In effetti la linea del pennello sulle figure marca la fluidità del grande austriaco e nel momento in cui s'asperge di colore acquerellato, o acrilico, si desume l’identità del Nostro, soprattutto nei punti su cui scendono sulla carta o sulla tela le colature che caratterizzano nell'emulsione cromatica il tratto distintivo e immediato di Scarfone. C'è in Francesco la decisione di una perentoria scrittura giapponese per esprimere sensazioni criptate dell'anima. Una narrazione di grafemi distintivi nella ricerca pulita attorno al rapporto linea-spazio al fine di delineare volumi. Un'essenzialità tipica dell'animo in perenne esame di una conformità artistica, anche  con la terra natale, che fa emergere la solarità dei gialli, dell’ocra. Colori stesi a spatola direttamente dal tubetto per non violare di vive marcature che solo le tinte pulite possono rendere. L'uso del colore ad olio necessita di tempi lunghi per l’essicazione e per la sovrapposizione dei pigmenti. Con la spatola raschia e modella, strato su strato, per consentire al soggetto rappresentato di emergere più compatibile alla plasticità oggettuale che alla mera raffigurazione piatta. È un lavoro di tempo, di meditazione, per delineare il paesaggio, la figura umana, la natura morta. La consistenza delle forme induce a fare una comparazione con la elasticità dei nudi di Lucien Freud. La sensualità dei corpi e il tocco deciso di spatola, grasso nelle consistenza del colore, riporta indubbiamente al realismo della pittura tedesca, meglio identificata nell'oggettività. L’esecuzione tecnica degli oli di Francesco, materica, a volte priva di una continuità di stesura, rende il soggetto soffuso, sfuocato tipico di una poesia che rimanda a Rembrandt. Vincenzo Baratella©.
alcune opere di Francesco Scarfone


I signori Scarfone; al centro la gallerista Emanuela Prudenziato
Presentazione della rassegna
Momento inaugurazione
Momento inaugurazione

domenica 1 settembre 2019

Il segno veicolo dello spirito allo Studio Arte Mosè

Il segno veicolo dello spirito
Collettiva di grandi maestri

Studio Arte Mosè di Rovigo, Via Fiume,18
dal 07 al 26 settembre 2019

Inaugurazione sabato 07 settembre 2019 alle ore 18 in Via Fiume, 18, a Rovigo.

Lo Studio Arte Mosè riapre i battenti, dopo la pausa estiva, con una straordinaria rassegna di grafica di alcuni maestri del secolo scorso e contemporanei. Una ventina di opere sotto il denominatore comune: la comunicazione di sentimenti, di situazioni sociali, politiche e di costume che hanno caratterizzato la società. Sabato 7 Settembre 2019 alle ore 18  in via Fiume, 18 verrà  presentata la mostra intitolata IL SEGNO VEICOLO DELLO SPIRITO. La rassegna è curata da Vincenzo Baratella e da Emanuela Prudenziato. Protagonisti dell’evento sono alcuni artisti del secolo breve: Baratella, Berto, Calabrò, Caruso, Finotti, Forno, Magnolato, Marcon, Lilloni, Pizzinato,  Prudenziato,  Tonelli, Treccani, Tregambe, Zancanaro. Ciascuno di loro ha saputo interpretare la cultura, la mentalità, la sensibilità del ventesimo secolo con tutte le sue novità, contraddizioni, pulsioni verso la costruzione del futuro mai come prima nelle mani dell’homo sapiens sapiens. L’arte si è assunta una responsabilità testimoniale e creativa per esprimere la consapevolezza esistenziale dell’essere umano: la volontà di lasciare, comunicare qualcosa di sé attraverso l’elemento base dell’espressione che è il segno, immagine simbolica del pensiero, della realtà. Il segno come veicolo dello spirito, dell’emotività, dello stato d’animo espresso con il peculiare scopo di fissare, trasmettere la sensazione di un preciso momento di interazione dell’artista con se stesso e con il mondo. Una mostra di acqueforti, di disegni, di punta secca, di acquatinta nella quale si alternano tecniche e tematiche. Da questa rassegna lo Studio Arte Mosè avvia le celebrazioni per il centenario dell’artista rodigino che ha dato il nome alla galleria; Baratella Mosè è presente con due chine in antitesi per contenuti e perizia esecutiva: in una esibisce eleganza e in un’altra un mordace spirito satirico. Giampaolo Berto espone un’incisione degli anni Settanta di straordinaria intensità. Vico Calabrò, vicentino, noto al pubblico per le rassegne pregresse, pittore, affreschista di fama mondiale è in mostra con una Venezia di grande trasporto poetico. Ancora un’incisione di Bruno Caruso, scrittore, illustratore, già presente a numerose biennali d’arte di Venezia. Al noto siciliano si associa una caruseria, disegno di Tono Zancanaro. Non manca una rara grafica di Novello Finotti reduce dalla recente personale di Seul e attualmente a Matera. Alcune opere dello scultore veronese si ammirano a Santa Giustina e al Santo di Padova. Osvaldo Forno, una vita spesa tra insegnamento al Dosso Dossi di Ferrara e una feconda produzione artistica indirizzata alla ricerca. Le teste fasciate sono messaggi forti contro gli orrori bellici che hanno sconvolto il Novecento e le opere rilevano tutta la contraddizione dell’età sessantottina. Si aggiunge per il forte impatto emotivo e immediatezza esecutiva l’incisione di Francesco Magnolato, anch’egli unito nell’impegno di un’arte sociale al corregionale Armando Pizzinato, che nella collettiva di via Fiume vede presente un’incisione dai toni futuristi. Si accumuna per ricerca formale alla corrente marinettiana pure il nostro concittadino Angelo Prudenziato, celebrato in galleria con due retrospettive. Marcon Luigi, caro al pubblico rodigino sin dagli anni Ottanta. Famoso in Europa per aver raffigurato il paesaggio urbano di Landshut, nell’ottocentesimo anno dalla fondazione, ha ricevuto la cittadinanza onoraria; ha avuto l’onore di realizzare un francobollo per la posta tedesca. E’ nella rassegna con una acquaforte-acquatinta: un paesaggio dal quale fa emergere l’animo delle cose nella combinazione del chiaro-scuro. Delicati i volti rispettivamente femminile di Umberto Lilloni e maschile di Ernesto Treccani. Una prospettica immagine della campagna romagnola piantumata di gelsi fa parte della raccolta “Alberi” di Roberto Tonelli. Bresciano, ricordato dai suoi concittadini con un parco ed un museo alla memoria, Girolamo Battista Tregambe offre allo spettatore la minuziosa, nonché poetica, visione di un vigneto autunnale. La mostra è aperta alla stampa e agli estimatori dell’arte. La durata  dell’evento è di venti giorni: dal 7/9/2019  al  26/9/2019, dal lunedì al venerdì  dalle ore 16.30 alle 19.30 in via Fiume, 18.


 straordinarie incisioni di due Maestri
momenti inaugurazione





domenica 19 maggio 2019

Impero Nigiani, il senso dell'infinito, allo Studio Arte Mosè

IL SENSO DELL'INFINITO
DI IMPERO NIGIANI
Allo Studio Arte Mosè dal 08 al 25 giugno 2019
Curatore Vincenzo Baratella
IL SENSO DELL’INFINITO
Personale  di
IMPERO NIGIANI

Studio Arte Mosè
Dal 08 al 25 giugno  2019

Inaugurazione: sabato 08 giugno  2019, alle ore 18

Una mostra straordinaria, tematica, itinerante. Prima tappa a Rovigo allo Studio Arte Mosè, con inaugurazione sabato 8 giugno alle ore 18; in settembre a Firenze e a Novembre si stabilisce a Recanati. E’ lo sposalizio artistico tra Impero Nigiani e Giacomo Leopardi; il dipinto si unisce alla poesia: un ponte tra la pittura colta e i versi eruditi. Il senso dell’infinito è un corpus di quindici lavori ad olio, otto disegni e cinque incisioni. Impegnativo nel dispendio temporale, ma assai più complesso sotto il profilo contenutistico, che offre un ampio apporto didattico oltre la notevole valenza artistica. Con questa produzione Nigiani ritorna a sommare qualità di gusto e conoscenza dell’argomento trattato; esibisce la freschezza tonale e il tratteggio deciso nella grafica come all’epoca della sua illustrazione-interpretazione dei testi di Dante, di Ovidio e recentemente di Cervantes. Impero Nigiani, nato a Incisa Valdarno nel 1937, vive a Firenze. L’incessante attività artistica annovera numerose personali, innumerevoli collettive e presenza delle sue opere in prestigiosi musei nazionali, europei e mondiali. Giorgio di Genova lo inserisce nella “Storia dell’arte italiana del ‘900”. Aderisce al Manifesto artistico “Foto di gruppo” presentato da Pier Carlo Santini. Nella mostra di Via Fiume apre la scena sul “natio borgo selvaggio” dove la torre antica è unica eccezione coeva al poeta nel paesaggio volutamente contemporaneo. L’ermo colle, piantumato di vigneti e girasoli, ha una sorprendente attualità con un’urbanizzazione linda, lineare; in primo piano il piccolo Giacomo, ritratto con sorprendente ironia coi boccoli e abbigliamento del ventennio nel dì della festa, svela “un non so che di sospiroso e serio”, profetizzando un’esistenza melanconica, priva di sollazzo e riso, dedita principalmente alla cultura. Esaustiva è l’interpretazione della fornita biblioteca leopardiana, rifugio e galera. Nigiani fa spiccare il clima museale dello studiolo con le sudate carte sul tavolo, i libri dei classici-latini greci, l’austerità dei luoghi e l’opprimente senso di costrizione. Il verone del paterno ostello è aperto al perpetuo canto di Teresa Fattorini; Nigiani interpreta eccezionalmente gli umori del poeta, anche nelle pulsioni amorose con l’infatuazione per Aspasia. In mostra: opere dalle quali si evince l’erudizione di Nigiani per il periodo storico in cui visse il grande recanatese, per i protagonisti della cultura e della politica. La Natura e la luna sono le costanti nei dipinti del fiorentino allo scopo di sottolineare alcuni dei peculiari elementi fondanti della poetica di Giacomo. La rassegna chiude con l’olio Oggi; un epilogo che sottolinea l’odierna mentalità refrattaria alle spinte emozionali della poesia: la luna che rischiara due baldi giovanotti “fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua”. Queste opere di Nigiani, raffinate nell’esecuzione, incisive nel realismo seducente della narrazione, sono cariche di trasporto emotivo proprio quello che dà il senso dell’infinito.  Vincenzo Baratella          


La rassegna, a ingresso libero, sarà visitabile:
dal 08 al 25 giugno 2019 tutti i giorni feriali
dal lunedì al venerdì dalle 16,30 alle 19,30
Impero Nigiani allo Studio Arte Mosè
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione
momento dell'inaugurazione

la voce 22.6.2019