lunedì 28 novembre 2011

Leopoldo MARCIANI allo Studio Arte Mosè




















        IL REALISMO POETICO DI LEOPOLDO  MARCIANI.
Tra rima e dipinto la demarcazione non è definita, né evidenziabile per chi come Marciani riesce a limare i sottili confini: “… c’è spazio\ per i batter d’ali dei sogni”. L’artista oltre a dare testimonianza come poeta, usa la pittura con sensibilità metrica, arricchita dalla sintassi  accademica nelle forme e nel colore, esposta nei tagli di luce dei chiaroscuri.  L’artista di Pescara predilige la figura, rappresentata nella peculiare e pacata esibizione del compimento delle faccende quotidiane. E’ proprio nella tenuità dell’essere che converge la poesia del soggetto esaltato nella sua singolare unicità, estraneo dai multiformi sfoggi del vivere sociale. Gli humiles mores fanno vedere l’uomo solo, scarno di corollari, privo di gotici abbellimenti, tuttavia ricco della forza interiore di essere protagonista. Analogamente gli elementi della natura e gli oggetti: fiume, tetti, case, alberi, capanni, ombrelloni, reti, carcasse d’auto esternano tutta la vitalità che anima le cose stesse. Il maestro abruzzese va oltre la fisica del rappresentato, mantenendo un vigoroso legame con il realismo figurativo, pur negando quello criptato della nuova figurazione. Non si accontenta delle belle forme, dei prepotenti colpi di luce, delle macchie materiche che definiscono i corpi, va dentro all’anima, ripresenta le emozioni del vissuto. La sua è una personale interpretazione metafisica, senza fronzoli, per aprire le porte del cuore con il tintinnio di sistri… Albeggia, meriggia, tramonta, su spiagge proletarie, con mamme che mettono il costume al piccolo, con trasognate innamorate abbarbicate sullo scoglio “incontro là dove si perde il giorno”, con indolenti pescatori di telline, con le forestiere che conversano sedute ai capanni… E’ tutto ordinario, rafforzata consuetudine degli eventi, eppure oltre le figure c’è la continuazione della narrazione neoverista; una serie di sequenze, quasi cinematografiche nell’evocazione storica dei decenni passati. Si rimanda alla sintesi dei temi cari, della cartolina ricordo degli anni settanta, ottanta, con l’amata trasognata, nostalgica, col volto all’orizzonte lontano, … con la barca tirata a secco sulla sabbia dorata, con la fila azzurra degli ombrelloni chiusi, con le reti appese ed il grido di adolescenti al mare. Marciani, oltre il lirismo morandiano, fa crescere di colore le sue figure, con il temperamento materico di Guttuso, con la vigoria erudita delle forme e l’eleganza delle stesse. Consolida attraverso la pittura ciò che è decodificabile e leggibile; ama ostentare quello che vede con un linguaggio di sintesi, zonale. Usa le malizie accademiche d’effetto pure  nei paesaggi. Siano essi scorci di vecchi borghi, casupole nella campagna, tetti innevati sotto i raggi della luna, o filari d’alberi, ripropongono sempre il malinconico gusto per il particolare, per la porzione di cuore, per il sentimento malcelato. Tutto comunque rientra nel sincretismo simbiotico pittura-poesia, luce-ombra, caldo-freddo, nel reciproco scambio delle tracce esistenziali, con i peculiari valori nell’uomo e per l’uomo. A tal proposito Marciani trasferisce una indelebile prova di filosofia morale nelle raffigurazioni religiose. Sono da evidenziare due tele: la Deposizione e la Resurrezione di circa sedici metri quadrati cadauna,  poste ai lati dell’altare maggiore della Chiesa parrocchiale della Madonna delle Piane a Chieti Scalo. In esse compare la sorprendente conoscenza del messaggio evangelico. La Resurrezione non esibisce  l’abituale iconografia del Cristo risorto che lievita sul sepolcro, ma le sembianze di Maria di Magdale, di Maria Cleofas e Maria Heli, dubbiose nella resurrezione e perciò solerti a portare unguenti per il Sacro Cadavere. Sono tre figure che fanno emergere la dignitosa statuaria eleganza della tradizione simbolica e la sintesi espressiva del miglior Casorati. Ciò che rende unica l’arte di Marciani è la individuazione del soggetto, estrapolato dall’ovvietà del quotidiano: ritorna con un caldo cromatismo, con vigorose pennellate di getto, a mostrare una signora dopo la doccia, le case tra i pini, gli scheletri di vecchie automobili, il gioco al cavalluccio sul bagnasciuga, i riflessi della vegetazione sulle acque di un rivo, la siesta dei pescatori sotto i graticci per riparare dalla canicola, e rivedersi quarant’anni dopo, meditabondi, obesi, sull’abitudinaria spiaggia delle ferie… Leopoldo Marciani ritrova il forte legame con l’ineluttabilità del trascorrere del tempo ed il realistico senso di fermare l’attimo, con il linguaggio dell’arte, nel struggente impeto del sentimento che indubbiamente andrà a finire sul limitare dell’eternità.
                                                                                   Vincenzo Baratella




alcuni oli dell'Artista Leopoldo Marciani






































 Articoli giornale su personale di Marciani:






































La personale rimarrà aperta fino al 22 dicembre 2011

lunedì 24 ottobre 2011

Luigi DONI e Paolo GIORGI allo Studio Arte Mosè di Rovigo

 LUIGI DONI E PAOLO GIORGI ALLO STUDIO ARTE MOSE' 


 Pieghevole
invito della mostra
di
Luigi DONI e
Paolo GIORGI























Paolo Giorgi,
Omaggio a Krohg
olio su tela 30 x 48













































Momenti dell'inaugurazione:

La prof. Emanuela Prudenziato fa gli onori di casa al vernisage.





















lunedì 29 agosto 2011

"DAL GUSTO ALL'IMMAGINAZIONE" dal 10 al 30 settembre 2011 allo Studio Arte Mosè

DAL GUSTO ALL'IMMAGINAZIONE

Sabato 10 settembre 2011 alle ore 18, presso lo Studio Arte Mosè, in via Fiume a Rovigo, inaugurazione della mostra "Dal gusto all'immaginazione"; che durerà fino al 30 settembre 2011 con apertura nei giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle 16,30 alle 19,30.  Presentazione (sotto) della collettiva è della Prof. Emanuela Prudenziato.


DAL GUSTO ALL’ IMMAGINAZIONE

Riflessioni sul senso della rappresentazione figurativa della realtà


La continua ricerca di rendere esplicito il proprio pensiero, la volontà categorica di rappresentare la realtà costituiscono gli elementi base per un artista, perché dipingere, disegnare, incidere sono riflessioni di un continuum dell’ esistenza, di vedere, rendere visibile ciò che è  e rimane oltre la percezione  umana. Un esempio di quanto affermato è la riproduzione di una natura morta; una bella natura morta ( si dice spesso) e che cos’ è se non una contraddizione, un ossimoro esistenziale, vita-morte, il bello nella negazione di ciò che esiste. Il pittore figurativo cerca di offrire il più possibile fedelmente il senso di ciò che propone. Non si può raffigurare un fiore, un frutto, senza sentirlo, vederlo, toccarlo, gustarlo, odorarlo, come fosse entrato nella mente, nell’ anima, perché dipingere  l’oggetto della natura portato all’interno dell’atelier non è un’esercitazione decorativa; significa porgere un’ interpretazione del proprio tempo, del proprio esistere. Non basta per comprendere questa volontà di rappresentare fiori, frutta, verdura, animali morti, forse tutto ciò fa parte di quello che vogliamo esorcizzare per noi, la nostra paura diventa gradevole nel vederla colorata, ambientata in ciò che è familiare e ripensiamo alla piacevolezza dell’esperienza della vista, del gusto, del profumo nell’osservare vasi di fiori, cesti debordanti di verdura, frutta, segno di ricchezza, di agiatezza, tranquillità. Dobbiamo ogni volta reinventare e riammirare questo genere di opere perché sono  la nostra vita e il salvacondotto contro la morte. Questa simbiosi essere non essere si legge nelle opere di Arcimboldi.  Elementi apparentemente raffigurati per ciò che sono; in realtà capovolgendo l’ immagine si ottiene un volto umano. Si coglie un sistema fagocitante. L’ autore dell’autoritratto biologico-ortofrutticolo “mangia se stesso”, è qualcosa che si può divorare al pari dell’orto-frutta. La natura morta è viva-vita un inesorabile connubio di sensazioni e riflessioni sul significato dell’esistenza, non solo umana e della sua rappresentazione. Questo inevitabile rapporto esistere e non esistere si percepisce nel cesto di frutta dipinto da Caravaggio. Il frutto marcio è segno di decomposizione , di crisi della società, del tempo in cui vive l’Artista. Non mancano simbologie inconsce: la porta di legno chiusa sullo sfondo di una natura morta  ci fa capire il confine, il limite della nostra esistenza. Più esplicito il messaggio di volti femminili dipinti nella loro essenzialità, icone-presenze simbolo minimalista, vestali della quotidianità, sofferenza e semplicità nel vivere. L’austerità di bottiglie vuote, ritte in piedi, sul tavolo da cucina, prive del loro contenuto, rappresenta l’esperienza vissuta, passata. Gli oggetti sono stati utilizzati, ora hanno il vuoto dell’ assenza, della negazione. La vita è passata, è trascorsa, rimangono il vuoto, la domanda senza risposta certa, sicura. Nelle nature morte proposte c’è tutto l’entusiasmo del colore, si percepisce la fragranza dei profumi, del gusto della singola qualità di frutta. La vitalità rappresentata nelle opere è un inno alla gioia di vivere, la morte può attendere. Fermare quell’ istante  di luce gradevole, elettrizzante è dare scacco matto alla fine, alla paura di non farcela, è la consapevolezza dell’ illusione d’ eternità. La rappresentazione pittorica di elementi naturali o comunque legati alla sussistenza dell’ uomo  non appartiene solo all’espressione  artistica accademica, ma  è ancor più  “ caricata “ di significati   correlati al sistema della comunità, alla condizione dell’ individuo nella società. Per cui parlare di natura morta vuol dire riflettere sulla nostra storia. Il cibo, la possibilità di scelta del cibo denotano una modalità ben precisa di vivere; si decide che cosa mangiare  pensando  prima di tutto al sapore, non  al potere nutrizionale  dell’ alimento. Il gusto è la nostra guida: espressione della più assoluta individualità perché legata ad una realtà di pensiero, e di inconscio, di sublimazione. Ma, talvolta, il palato viene “ addomesticato” per situazioni contingenti  ed ecco allora che  siamo capaci di ammirare  un’ opera che raffigura una minestra in un barattolo , non più all’ interno di un piatto di porcellana posato su di una tavola apparecchiata  secondo le regole del galateo; la nostra vita, la nostra storia cambiano, la sensibilità, il pensiero, la riflessione  sono  le nostre ancore di salvezza che ci conducono alla libera immaginazione del gusto perduto.
Emanuela Prudenziato
L
La
Artisti partecipanti :

Mosè Baratella

Antonio Biancalani



Silvana Bissoli


Mirta Caccaro
Vico Calabrò

Antonio Dinelli

Lino Lanaro
Raimondo Lorenzetti

Gilberto Nardini




























Angelo Prudenziato
Mariano Vicentini




Toni Zarpellon



















DODICI ARTISTI DI "GUSTO" ALLO STUDIO ARTE MOSE'

Dopo la parentesi estiva lo Studio Arte Mosè riapre i battenti con la mostra tematica: “Dal gusto all’immaginazione. Riflessioni sul senso della rappresentazione figurativa della realtà”. Collettiva curata da Emanuela Prudenziato, che ha sottolineato “una bella natura morta ( si dice spesso) e che cos’ è se non una contraddizione, un ossimoro esistenziale, vita-morte, il bello nella negazione di ciò che esiste. Dobbiamo ogni volta reinventare e riammirare questo genere di opere perché sono  la nostra vita e il salvacondotto contro la morte. Questa simbiosi essere non essere si legge nelle opere di Arcimboldi.  Elementi apparentemente raffigurati per ciò che sono; in realtà capovolgendo l’ immagine si ottiene un volto umano. Si coglie un sistema fagocitante. L’ autore dell’autoritratto biologico-ortofrutticolo “mangia se stesso”, è qualcosa che si può divorare al pari dell’orto-frutta. La natura morta è viva-vita un inesorabile connubio di sensazioni e riflessioni sul significato dell’esistenza, non solo umana e della sua rappresentazione”. Dodici gli Artisti presentati con un totale di circa venti opere che vanno oltre il mero aspetto estetico e descrittivo dell’oggetto raffigurato. Mosè Baratella ha fissato due meste sequenze di vita d’altri tempi con la tovaglia a quadretti sulla quale campeggia umile la verza, le mele e la caraffa di coccio. Antonio Biancalani fa trapelare, da luci soffuse e radenti, una ben augurale melagrana. I chiaroscuri caldi, zonati, di getto, fanno gustare le sensazioni degli interni di una lontana civiltà contadina. Silvana Bissoli esibisce l’ulivo, contorto, vigoroso, ma tanto pieno di poesia vibrante attraverso i tocchi esperti del pirografo. Mirta Caccaro, con le xilografie “l’imbriagadura” descrive situazioni di vita contadina, ove per smorzare le fatiche fisiche si ricorreva all’anestetico più alla portata di… bocca; l’ebbrezza popolare è illustrata dall’artista vicentina con il candore  del fabulatore e palesa la sua abilità di illustratrice di libri per ragazzi. Vico Calabrò, all’unisono, fa suonare i suoi angeli-cantori in un mondo di beatitudine e di ottimismo; Mirandolinba alza il bicchiere per un brindisi con il mondo intero.  Il canestro di frutta di Antonio Dinelli, con i colori vivi della migliore tradizione macchiaiola e con il realismo post-romantico, dichiara tutta la sua bravura esecutiva e l’indiscussa sensibilità.  Lanaro Lino propone nell’unicità della sua tecnica, sempre ricca di icone e di simboli, il tavolo imbandito con torta e bottiglie. Lorenzetti Raimondo, presente con tre opere al padiglione italiano della Biennale di Venezia, invita lo spettatore nella dimensione inconscia dell’introspezione. Il suo “bevitore” è un olio che sintetizza la vacuità di chi oggi è privo di valori e ostenta l’estraneità e l’isolamento dalla società; l’opera è stata segnalata nella fortunata rassegna mantovana, curata da Arianna Sartori. Due disegni a matita segnano la presenza di Gilberto Nardini. L’abilità nell’usare questa tecnica grafica fa dell’artista friulano uno dei migliori disegnatori. I significati reconditi, criptati, che emergono dall’immagine della giovane intenta a mangiare gli spaghetti sono in buona sostanza denunce all’opulenza e nel contempo ala necessità per assolvere all’inderogabile bisogno primario del cibo. E quest’ultimo si esalta tutto dall’opera di Mariano Vicentini: una teglia sfrigolante di spaghetti e gli schizzi di rosso per celebrare tutta la fragranza del sugo. La pennellata vigorosa, grassa, decisa, di Toni Zarpellon marca con determinazione il un gigantesco tarassaco: il gustoso contorno dei poveri; la selvatica catalogna dei prati. L’artista bassanese, ha in atto una personale fino al venticinque settembre, nel chiostro a Campo dei Carmini di Venezia. La collettiva è visitabile nello Studio Arte Mosè di Rovigo, in via Fiume,  fino al 30 settembre prossimo tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle 16,30 alle 19,30.
                                     Vincenzo Baratella

La prof.ssa Emanuela Prudenziato presenta la rassegna.






Foto pr.ema ©.