sabato 29 novembre 2014

1° CRITERIUM LETTORI ITALO SVEVO

SABATO 29 NOVEMBRE 2014 ALLE ORE 17,30 PRESSO LA LIBRERIA PAVANELLO, VIA SILVESTRI 59, A ROVIGO, SARA’ PRESENTATO IL LIBRO DI VINCENZO BARATELLA “Estrema protesta”, all’interno del “1° criterium lettori Italo Svevo”: selezione libri fatta da giuria di soli lettori.
Alla rassegna saranno presenti l’autore Vincenzo Baratella e l’editore Alberto Gaffi.
Vincenzo BARATELLA, laureato a Padova, vive a Rovigo, insegna lettere in una scuola pubblica ed è curatore critico dello Studio Arte Mosè. Ha presentato numerosi Poeti e Artisti. Ha redatto cataloghi d’arte. Tra le pubblicazioni sono da ricordare: Scuola, La più grande eredità, Memoria di Fulberto: ricostruzione delle vicende che ebbero per protagonista il canonico di Parigi, Eloisa e il filosofo Abelardo. Per Pinocchio la fatina c’è sempre: saggio critico sulla società, politica e cultura della seconda metà ’800 e concreta ricaduta nella contingente verità odierna. Sul Web emergono contenuti e aspetti stilistici dell’Autore.
IL LIBRO:

Estrema protesta Vicenda vera e attuale. Sacrifici di una famiglia artigiana nell’ascesa al benessere. Le commesse non pagate dalla pubblica amministrazione, i debiti, la mortificazione economico-psicologica inducono a un  tragico epilogo.
La Dott.ssa Emanuela Prudenziato, coordinatrice dell'incontro presso la libreria Pavanello.
Al centro l'attore Tosi che interpreterà la figura di Italo Svevo giovane.
L'editore Alberto Gaffi della ITALOSVEVO, editrice in Trieste dal 1966.
L'autore Vincenzo Baratella e l'editore Alberto Gaffi alla presentazione del libro.
da sinistra:  Baratella, Gaffi e Tosi

martedì 4 novembre 2014

LORENZETTI: il conflittuale dialogo interiore

Lo Studio Arte Mosè di Rovigo

Presenta
RAIMONDO  LORENZETTI
ARTISTA VERONESE ALLA 54ª BIENNALE INTERNAZIONALE D’ARTE DI VENEZIA



INAUGURAZIONE SABATO 15 NOVEMBRE 2014  - ORE 18.00
PRESSO    STUDIO ARTE MOSE’
VIA FIUME 18 -  45100 ROVIGO
RASSEGNA DAL 15 NOVEMBRE 
AL 4 DICEMBRE 2014
nei giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle 16,30 alle 19,30

info: studioartemose@live.it

RAIMONDO LORENZETTI:

 
Il conflittuale dialogo interiore

L’artista veronese è prima di tutto un amico; il silenzioso personaggio riflessivo nei dialoghi, privo di dialettica ciarliero-superficiale, e disponibile a condividere piuttosto che dissentire. Da qualche decennio ho assistito alla sua evoluzione artistica, a quel cammino faticoso in salita, comunque non privo di successi. La sua non è un’arte facile, né leggibile; bisogna conoscere il soggetto uomo per tentare l’approccio alla decodifica del tema. L’oggetto è in buona sostanza l’identificazione con il soggetto stesso. Un binomio inscindibile. Attraverso i contenuti dell’opera Raimondo espone il messaggio criptato. Il quadro, piccolo o di grandi dimensioni, è un pensiero intimo espresso: è la porzione di una foto-relazione messa a fuoco, in attesa di completare il puzzle attraverso altre, innumerevoli tessere a contenuto introspettivo. Ogni dipinto è dunque porzione del contenuto privato nella tensione d’instaurare il dialogo transferenziale con l’altro. Un approdo per fidarsi e sul quale stabilire la fiducia per liberare l’intimo e raccogliere la spinta d’amore. A prima vista le sue creature sono figure esternamente irreali, ma con indubbia vitalità interiore. Figure umane, animali e cose presenti in un amalgama del rappresentato finalizzato a compattare in sequenze i comportamenti, i conflitti, le passioni, i drammi d’amore del genere umano … i suoi. Quella di Lorenzetti è una pittura introspettiva e ricca di argomenti e di problematiche, gli stessi generati dalla psiche in dialoghi intimi. E’ un’arte di autoanalisi. Lorenzetti rientra nel filone degli artisti che si librano sul filo sottile tra il lecito e l’illecito, tra l’amore e la sofferenza, tra l’esperito e il desiderio di esperire, tra il vissuto e la mancanza delle occasioni. E’ una pittura senza il comune denominatore della collocazione di corrente; è una personalissima rappresentazione dell’io e dell’inconscio. Se si volesse fare il raffronto epidermico è un Bosch del terzo millennio, comunque con i doverosi distinguo. Ci sono simboli ricorrenti: le nuvole gravide di maternità mancate, pesci di dubbia matrice evangelica, animali con sguardi troppo umani e compiacenti dell’animalità comune, esseri umani protesi in giochi di contorsionismo e di sezioni mancanti … fette di personalità  non rivelata. Analogamente al grande fiammingo scruta dalla “finestra”: un pertugio dal quale setaccia ciò che avviene tra gli uomini e dentro agli stessi nell’interscambio sociale, sia nel bene sia nel male. Sovente è quest’ultima la componente acuita dalla quale emerge il “male di vivere”; in effetti l’uomo di Raimondo è arrivista, di bella presenza, elegante o casual nell’abbigliamento, con o senza carne, con protesi di legno quasi a sorreggere a tutti i costi il ruolo assunto nell’interscambio economico-sociale. Donne dalle strane posture degne di un eclettico pudico Kamasutra, avvolte, sorrette da nubi del desiderio, tentate dal maschio con l’indicibile lentezza di animali metamorfosati che acquistano forme di maliziose lente creature sotto il carapace di tartaruga o la corazza d’armadillo … C’è tutta l’umanità nascosta, censurata dal superio collettivo nell’opera di Lorenzetti; c’è sostanzialmente quello che vede e ha visto. Supera le angosciose levitazioni, le materne icone bendate di Magritte; si stacca da presenze fantasma di Delvaux; né rivela la malizia “adulta” di Balthus, sebbene abbia tonalità verde-ocra omogenee e simboli da suggerire una comparazione con i tre grandi. Raimondo Lorenzetti è poeta classico all’interno dell’arte psicologica analitico-freudiana. Ogni opera è porzione di indagine interiore, di rivisitazione dell’esperienza vissuta o solamente desiderata. La mostra esibisce dunque prospettive esistenziali, pagine di un libro aperto sull’intimo dell’uomo e dell’artista.
©Vincenzo Baratella
Opere ad olio di Raimondo Lorenzetti
Lo studio dell'Artista Raimondo Lorenzetti ed Emanuela Prudenziato 
 
LORENZETTI: il rebus
L’espressione pittorica di Lorenzetti è stata determinante per comprendere l’evoluzione del suo pensiero. Dalle prime rappresentazioni di reminescenza medioevale, ad una prima lettura, ad un continuo rebus esistenziale con i tasselli fondamentali: la nascita, le scelte, la famiglia, il potere, la comunicazione, i rapporti fra individui, la fatica del quotidiano, il senso della cultura e tutto ciò che può rimanere problema, realtà irrisolta. Nelle sue opere vengono rappresentati individui in primo piano ed elementi infrastrutturali sullo sfondo, costanti sono le nuvole sulla sommità di pali o appese a fili sottili, animali domestici e non dalle fisionomie antropomorfe almeno nello sguardo. I suoi quadri non possono lasciare indifferente l’osservatore. Chi guarda  queste realizzazioni pittoriche si addentra quasi fatalmente nelle singole situazioni  illustrate. Come un lettore, lo spettatore accetta il patto narrativo che lo porta  a seguire  fino in fondo il racconto  dell’artista.          
 Emanuela Prudenziato
 
Tre opere di Raimondo Lorenzetti alla 54^ Biennale d'arte di Venezia


martedì 7 ottobre 2014

I^ RASSEGNA "FIERA LETTERARIA IN LIBRERIA"

RASSEGNA LETTERARIA
FIERA DI ROVIGO
DAL 18 AL 21 OTTOBRE 2014
info: studioartemose@live.it

ROBERTO RAMPINELLI

RAMPINELLI: tonalità pacate per gustare il ricordo.
Curatore:  Vincenzo Baratella
Studio Arte Mosè
dal 25 ottobre al 13 novembre 2014

Sabato 25 ottobre 2014 alle ore 18,00 lo Studio Arte Mosè di Rovigo presenta la personale di Roberto Rampinelli.
Ci sono espressioni d’arte che si prediligono rispetto ad altre; forse per il modo inusuale dell’esecuzione, forse per l’impatto emotivo con il fruitore, l’incisione ha un fascino particolare. Lo Studio Arte Mosè ha presentato molte rassegne di grafica -termine generico per separare una tipologia d’arte visiva dalla tecnica olio-acrilico, maggiormente conosciuta- e in ognuna sono emersi momenti, idee e soluzioni originali, concordi, divergenti. E’ indubbio che l’incisione sia idonea a meglio esprimere la ricerca formale dell’Artista, ovvero l’originalità nell’incisione al nero, nella xilografia, nell’inoleumgrafia, nella ceramolle, nell’acquaforte, nella puntasecca. Magistrali tutti i “miei” artisti, nessuno di serie B; mancava all’appello Roberto Rampinelli. Nato a Bergamo, vive e lavora tra Milano, Urbino e Amer (Catalogna – Spagna). Ha frequentato la Scuola Superiore d’Arte del Castello Sforzesco di Milano e i Corsi Internazionali di Tecnica dell’Incisione di Urbino, sotto la guida di Carlo Ceci per la litografia e di Renato Bruscaglia per l’incisione. Si avvale della Stamperia D’Arte “g.f.” di Urbino. La sua produzione figura in prestigiose collezioni pubbliche e private. Rampinelli mostra effetti che sposano morbidezza di tratto, tonalità velate come fossero rese omogenee dal tempo. Analogamente l’opera pittorica dell’Artista bergamasco riporta atmosfere soffuse, smorzate dall’usura, come nelle cartoline del ricordo. La staticità temporale per soppesare gli oggetti amati nella realtà e rivissuti dal cuore in una dislocazione spaziale che coglie l’individualità contrapposta alla generica-superficiale globalità. Sono singoli elementi posati in uno scenario cromatico tenue con lo specifico intento di evocare attimi di serenità vissuta. Lo sfumato, apparentemente monocromatico nei toni caldi giunge crepuscolare nella dimensione intima dell’evocazione: il languido souvenir di una conchiglia, di un frutto, di un fiore. Con inusuale perizia tecnica Roberto Rampinelli dà la patina antica alla poesia delle “buone cose” attraverso l’olio su carta: la materia grassa assorbita dalla cellulosa riduce la violenza tonale dei contrasti per far riposare l’occhio su ciò che è stato visto, ritratto e amato. [©V.B.]
Vincenzo Baratella e Roberto Rampinelli

Un momento della rassegna



giovedì 2 ottobre 2014

Luigi Marcon

 Marcon: il coraggio dell'arte.
  Personale di Luigi Marcon allo Studio Arte Mosè di Rovigo
  dal 27 settembre al 16 ottobre 2014
LUIGI MARCON 
E’ una presenza piacevole e consolidata allo Studio Arte Mosè; l’Artista di Vittorio Veneto si è formato all’Istituto d’arte di Venezia sotto la guida di Dalla Zorza e Dinon, dai quali apprese l’arte dell’incisione, che perfezionò presso il Centro Internazionale della Grafica con Licata. Dal 1960 partecipa a rassegne di grafica nazionali e internazionali ed  espone in numerosissime personali in Italia e all’estero. E’ altresì ricordato per il francobollo, emesso in Germania nel 2004: l’opera per la stampigliatura è stata realizzata in occasione dell’ottocentesimo anno dalla fondazione della città di Landshut. Ha insegnato  ed insegna l’arte della calcografia. Ha eseguito oltre quattromila lastre, tutte stampate personalmente con torchio a stella. Le sue grafiche  lo classificano come un incisore attento nella scelta dei soggetti:  vedute note, chiese, abbazie, castelli. In ognuna c’è la scelta dello scorcio atto a rendere poetica la porzione di paesaggio rappresentato. La perizia tecnica è meticolosa: linee decise, comunque mai forzatamente geometriche; ora marcate ora impercettibili nel reticolo dei volumi. I sapienti tocchi con lo zucchero, il sale, per dare chiazze di morbidezza all’acquatinta, ceramolle. Le stampe sono sempre limitatissime di numero per tributare l’opera pregevole; effettivamente non sarebbe motivata l’eccesiva produzione cartacea, visto il considerevole numero di matrici eseguite dall’Artista.  Raggiunse un livello esecutivo superlativo nei castelli della Germania e nelle “Delizie” estensi; non da meno sono i paesaggi con suggestivi particolari: gli alberi, la pieve, il casone di valle … Marcon, noto per le sue incisioni, non ha disdegnato le tecniche più usuali dei pittori. Ricordo oli pregevoli degli anni settanta, ottanta… Poi un repentino cambiamento; la stasi forzata. “L’incidente è stato una lezione di interiorità e di ulteriore sguardo sull’infinito”, ha dichiarato l’artista trevigiano, in seguito alla disgrazia capitatagli in montagna. Una lenta ripresa fisica, ma sovrumana nella volontà per essere presente nel mondo dell’arte con la Sua opera. Ha ripreso a dipingere, secondo il carisma classico, ad olio; come sempre con il gusto poetico del tema, ancora con più tenacia… una spinta interiore dall’arte per dare colore alle sue straordinarie creature.  

Vincenzo Baratella

mercoledì 10 settembre 2014

LA GUERRA

DAL 6 AL 25 SETTEMBRE 2014
MOSTRA COLLETTIVA TEMATICA SU
LA GUERRA



 

UNA COLLETTIVA PER DENUNCIARE L’ILLOGICA, ESASPERATA, VIOLENTA, CONTRAPPOSIZIONE DEI POTENTI.

 

 

Cent’anni fa iniziò la carneficina mondiale; si concluse l’età delle illusioni, del patriottismo, degli ideali deamicisiani strappa lacrime. La grande guerra evidenziò i meccanismi di interesse pubblico e privato atti a coinvolgere governi, partiti, movimenti artistico-letterari e di costume. L’azione di propaganda e l’attività censoria intenzionate, nelle contrapposte finalità, a mostrare il volto lecito della guerra, innescarono nell’opinione pubblica il desiderio della rivendicazione territoriale. Analogamente all’imperativo “Dio lo vuole”, scandito da papa Urbano nella cattedrale di Clermont, allora per motivare la guerra santa, la crociata appunto, un secolo fa l’indottrinamento armò le trincee. Il ‘900 svolse con smodata energia la propaganda: una guerra doverosa per riscrivere i confini nazionali, rimasti solo ideali già dalla profetica e romantica aspirazione manzoniana dell’una d’arme, di lingua e d’altar. Marinetti la giustificò come igiene del  mondo e forza idonea per bruciare tutto il vecchiume del passato. Grotz mostrò generali assetati di vite giovani mutilalate dalle bombe. L’idea proletaria, già sconfitta dalla miseria, aborriva il clima disfattista ed interventista.

Le ragioni economiche, quelle della borghesia industriale che vedeva una risorsa nell’industria bellica, prevalsero sul buon senso e sui neutralismi. Il pretesto del centenario, nel contempo denuncia contro qualsiasi manifestazione di belligeranza (giunga essa dalla parte della “ragione” o del torto), ha indotto all’allestimento della mostra tematica. Una riflessione a trecento sessanta gradi da parte degli artisti che si sono avvicendati nella collettiva. Mirta Caccaro, nelle grafiche omaggia Picasso, con un’evocazione della strage di Guernica durante la guerra civile spagnola e sottolinea, negli animali umanizzati, la cecità secondo Saramago. Le xilografie di Osvaldo Forno mostrano le “teste fasciate”, bruciate dal napalm; sintetizza in maniera efficace l’orrore del Viet Nam. Le opere dell’artista rodigino furono realizzate a caldo negli anni settanta. Antonio Dinelli, giovane artista livornese, ha un’evocazione del fenomeno con cavalieri del passato, un modo personale per sottolineare l’atemporalità della violenza. Mosè Baratella, in un olio del 1977, mostra la rovinosa ritirata di Russia; sconfinati spazi gelati marcati dal livore di sangue del sole all’orizzonte e il milite, in primo piano terrorizzato porta con sé la tragicità della condizione del Cristo. Salta all’occhio un olio di piccole dimensioni di Impero Nigiani; l’artista fiorentino ritrae uno spaccato dell’altare della patria: la fierezza dei cavalli marmorei e una nuvola rossa, una ferita su tanta immacolata classicità. E’ sulla stessa ara su cui furono immolate le giovani vite degli “Alpini”interpretate da Luigi Marcon, con una sinistra poesia degna della più elevata tradizione romantica. Lino Lanaro coglie il senso della sofferenza in una melanconica alzabandiera su i resti di ground zero dopo l’undici settembre. Matteo Faben esprime orrore ne “la privazione”: le gambe di donna, di madre, continuano a vivere e incedere nonostante il baratro, eppure il busto, la sede del cuore e degli affetti, è scarnificato; con meticolosa perizia creativa fa emergere il tema di fondo con una scultura lignea di grandi dimensioni. “Game over” è il titolo dell’opera plurimaterica dell’eclettico artista newpop Mariano Vicentini. Due guerriglieri, neri come la morte, si fronteggiano armati, lo sfondo è un drappo carminio, il teatro della guerra appunto, e la soluzione è tristemente scontata: fine del gioco … fine!

                                Vincenzo Baratella

 
 Emanuela Prudenziato davanti a una scultura  di Matteo Faben
 
       Vincenzo Baratella illustra Desaparesidos, olio su tela di Mosè Baratella




 

EREDITA' MORANDI


EREDITA’

MORANDI
dal  31/05/14  al 19/06/14 allo STUDIO ARTE MOSE'




UNA COLLETTIVA DI GRANDI INCISORI PER RICORDARE I CINQUANTANNI  DALLA SCOMPARSA  DEL MAESTRO  BOLOGNESE.

 

L’esperienza incisoria che utilizza la visione essenziale degli elementi esterni declina in brevi tratti l’idea di un paesaggio, di un oggetto, fra ombre  e luci che appartengono alla mentalità dell’epoca in cui vengono  realizzate. La staticità degli elementi: bottiglie con la loro polvere che è non solo accumulo  di esperienza, del tempo, un tentativo di fermare il continuo fluire del mondo, delle sue contraddizioni intrinseche; il vuoto degli oggetti  è  come  l’impossibilità  dell’agire, un nichilismo estatico-estetico racchiuso nelle suppellettili sempre uguali a se stesse. Nei paesaggi i tratti regolari rompono l’armonia delle linee naturali, sottolineano la frattura, lo spezzettamento  della visione,  del pensiero  frantumato, irrecuperabile nella sua interezza, nella ricerca di un obiettivo, di ricostruire valori negati, dimenticati,soprattutto per coloro che,come Morandi, hanno vissuto e tentato di razionalizzare il trauma dell’evento bellico. 

  Dall’analisi delle singole esperienze  incisorie  possiamo  osservare  come   Pio Penzo  abbia  realizzato le sue opere dedicate ai paesaggi  veneti – veneziani seguendo la tecnica  di Morandi e con esito felice  perché il modello è stato rielaborato dalla sensibilità, dalla cultura del Maestro    salesiano. 

L’incisore Marcon adotta  accorgimenti che rendono l’immagine fluida, come appena uscita da  un acquerello, sospesa, una riflessione sulla visione del mondo circostante.

Nell’opera  di   Tregambe   le numerose morsure, l’utilizzo della punta secca fanno emergere momenti dell’anima, la nostalgia del tempo trascorso, gli affetti mancati. La solitudine dei luoghi, degli oggetti sono un racconto silenzioso dei ricordi. L’esercizio  del  ricordo  si stempera  nei  paesaggi, negli  ambienti  della quotidianità  ormai  trascorsa, ma che è dentro ognuno di noi, è il nostro vissuto di altri tempi, di altri momenti.

Completano      la rassegna  le  opere  di   Dal Prà,  Calabrò  anch’esse  di indiscussa perizia tecnica, tra le altre   merita  menzione   l’acquaforte  di Tono Zancanaro  impressa  presso la stamperia Busato di Vicenza, rinomata per aver divulgato  l’opera dei più significativi incisori del secolo scorso. Nella collettiva  non  manca  una punta secca  del 1940 di Angelo Prudenziato, amico e allievo  di  Giorgio Morandi  assunto come pretesto nominale   in occasione del cinquantesimo della scomparsa. 

                         Emanuela Prudenziato      
Angelo Prudenziato,, Nudo
 
                       

 
 

LA DONNA

DAL 3 AL 22 MAGGIO 2014
PERSONALE TEMATICA DI MARIANO VICENTINI
SU  LA DONNA

Mariano Vicentini è un artista sui generis, fuori dal contesto di qualsivoglia corrente pur emergendo nella comunicazione adepto della popular art, la quale nello sfogo più immediato colse i desideri della massa per l'oggetto da fruire subito e a basso costo. Tuttavia l'artista veronese al bene di consumo aggiunge il tema di fondo, il motivo conduttore: le ansie, le paure, le previsioni, le imposizioni. Insomma l'oggetto in sé diventa pretesto per argomentare e far pensare. La pop art di Vicentini non è dunque circoscritta all'informativa del prodotto, né alla riflessione provocata dalla merce. L’adesione indiretta con il movimento artistico citato è visibile nell'esplosione cromatica dell’acrilico, nell'utilizzo di collage, nell'inserzione di svariati materiali, nell’estroflessione in alcuni suoi lavori. Se manca qualcosa per definire il concetto da comunicare egli si avvale delle parole: i suoi aforismi, citazioni per dare maggiore efficacia al messaggio. Nella fattispecie la protagonista della rassegna è lei. Una narrazione tutta sul femminile dove la tematica dell’opera diventa sincronica alla spettacolarità dell'immagine. La donna oggetto e\o soggetto, secondo i ruoli e le relazioni nei quali è stata contestualizzata. Mariano Vicentini, da sempre innamorato del sinolo femminile perfetto, molto più dell'uomo commisto di umanità e sensibilità, ha voluto contrassegnare un percorso apologetico attraverso la ventina di opere esposte. La donna mostrata nel suo molteplice apparire: la madre protettrice, severa nel custodire la prole, la femmina fatale, la velina, la soldatessa sia essa bianca o nera, cristiana o islamica, ferma a difendere anche con le armi il nascituro in grembo. L'artista non esclude il femminino, né l’essenza delle qualità sensuali desiderabili, solitamente associate alla ricchezza e alla moda; non è casuale il connubio della procace creatura coniugata alla moto super cromata. Non mancano le provocazioni contro il maschio, sia esso protagonista sociale e dio nelle religioni, cui si contrappone una dea madre, forse la bona dea romana che segna la sua sindone. Ricaduta in una realtà quotidiana di sfruttamento e servilismo nella quale, dopo l’arcaica parentesi di matriarcato, la donna è stata relegata. Il pater familias, l’uomo, è anche padrone. Vicentini nel suo percorso narrativo non lima, non taglia gli spigoli, né ammorbidisce i toni del messaggio, va a sollevare il velo polveroso del perbenismo per mostrare non solo scheletri, ma figure violate anche dentro gli armadi. Nei suoi temi non manca la denuncia sulla violenza privata, sull'incomunicabilità della donna nell'interscambio sociale. Nell'isolamento e nella fuga dalla realtà subentra lo sconforto, la depressione che si conclude con l'auto annientamento  nel bagno di casa o nel lasciarsi andare con un bicchiere di troppo in un anonimo bar di provincia.     Vincenzo Baratella
   Emanuela Prudenziato alla vernice di Mariano Vicentini
    L'Artista Mariano Vicentini davanti alle sue opere
 
 
UNA    MOSTRA    SULLA   DONNA   DA UN PUNTO DI VISTA  FEMMINILE
 
E’  un viaggio ad occhi aperti l’immersione nei colori parlanti delle opere  di Mariano  Vicentini. Ogni scena  è un dialogo interiore, un’analisi dell’esistenza vista da un narratore onnisciente, raccontata con la forza dell’immagine, una trasposizione dei propri incubi simbolicamente legati dalla determinatezza dei colori. La spazialità, la disposizione degli  elementi, dei personaggi presenti è un rebus. Il rebus  della  realtà, un gioco enigmatico che non ha   vincitori  o vinti  perché  è solo la vita a determinare, a gestire  gli eventi, le regole della “strana” partita, dove le regole del gioco non sono mai le stesse, prevedibili e nessuno conosce  le mosse  corrette. Rimangono solo  la sospensione dell’immaginazione, della riflessione.
Emanuela  Prudenziato

  Vincenzo Baratella presenta l'Artista
 

DECENNALE.. Ricordo di Mosè a dieci anni dalla scomparsa

Dal 12 al 30 aprile 2014
una retrospettiva su Mosè Baratella
per ricordare l'Artista a dieci anni dalla scomparsa.
In Galleria Studio Arte Mosè è disponibile il catalogo delle opere.
 
                                        Prudenziato Dott.ssa Emanuela curatrice della rassegna
                                          Mosè Baratella      Ritirata di Russia  olio su tavola

sabato 15 febbraio 2014

TREGAMBE GIROLAMO BATTISTA:

RISTORO INTERIORE DALLA NATURA
NELL'OPERA GRAFICA DI GIROLAMO BATTISTA TREGAMBE
RISTORO  INTERIORE DALLA NATURA
Il mio cruccio, un risentimento legittimo per chi ama il bello, è di non averlo conosciuto prima. L’individuazione per “avere” un Artista è una delimitazione egoistica, forse condivisibile con coloro i quali ambiscono includere questo nella cerchia dei protagonisti. E’ un desiderio privato, peculiare degli storici dell’arte, dei critici, dei curatori in generale.  L’incontro compensa comunque il tempo andato. Con Tregambe si recupera pure il passato: quello esperito e ritrovato nel ricordo. La grafica del bresciano aspira l’età dell’oro, dell’innocenza, della rappresentazione arcadica. L’Artista esclude dall’opera la presenza umana. Indubbiamente un merito. Lo scopo è di evitare comparazioni temporali tra la modernità contingente e l’immutabilità della Natura. Leopardiana accezione dell’infinito nel tempo: perpetuare la gratificazione interiore attraverso ciò che circonda; uno scenario inviolato adatto a infondere sentimenti ed emozioni all’uomo stesso. Girolamo Battista è un incisore meticoloso, e si evince nel segno delle sue grafiche; effettivamente i toni scuri sono il risultato di un saturare con la ripetitività del segno. Un gioco di ombre e luce, di contrasti per rendere il volume dei corpi. Non si ravvisa la struttura portante del disegno dell’oggetto, sintetica alla stregua della grafica espressionista tedesca, né il virtuosismo estetico di Doré, né il morandiano reticolo per i volumi, tantomeno la raffigurazione concettuale di Dürer, con cavalieri apocalittici nel messaggio della Riforma. In Girolamo Battista  Tregambe si  arguisce una continuità romantica nell’accezione più genuina. La zolla di A. Dürer è il particolare da cui completare la globalità del paesaggio, l’interezza della sinfonia e l’avvio della poesia evocativa. Come non ricordare nell’ “Estate nel brolo” il ritratto indiretto degli affetti anche non esplicitamente espressi. La sedia impagliata su cui sedevano figure parentali; il quotidiano per esibire l’inculturazione attenta alle notizie; l’annaffiatoio per ravvivare i fiori del giardino … Sullo sfondo la casa: “crepuscolare” tranquillità domestica. Girolamo Battista mi disse che i paesaggi delle sue acqueforti sono ispirate e colte prevalentemente dai luoghi reali limitrofi a Botticino. Vero. Gorgogliano rivi d’acque cristalline sui quali poggiano ponti precari d’assi di legno, innevati per rendere ancor più immacolata la terra delle sue radici. Immagini di un languore inusuale, ricco di sentimento neoromantico. Poesia dunque fissata sulla lastra di rame, scavata dall’acido e stampata con l’amore di chi vuole rendere partecipe altri a sensazioni indicibili. Sono segni copiosi, innumerevoli, leggeri per dare sostanza nella morsura, contro il segno secco di punta. Al tatto la stampa palesa una sinfonia di leggere linee; il tratteggio entusiasta, come biscrome sullo spartito. Le pause: chiazze di luce; i riverberi del sole pallido tra maglie di una rete di recinzione ricoperta di galaverna. Intorno la soffice consistenza della nevicata … Da tutto quel freddo esterno Tregambe ravviva il calore interiore: incommensurabile amore per la vita e per il creato.

                                                                                                                          Vincenzo Baratella
©  Copyright Vincenzo Baratella 2014

Emanuela Prudenziato, Girolamo Tregambe e Vincenzo Baratella
Girolamo Battista Tregambe,  nella notte di Pasqua, si è addormentato per sempre. L’arte ha perso un eccelso Maestro e la società un membro di immensa umanità. L’uomo e l’artista: perdite incolmabili. Lo Studio Arte Mosè, Vincenzo Baratella, Emanuela  Prudenziato, commossi, partecipano al dolore della famiglia, dell’amico  Roberto Bodei e di quanti lo conobbero. Girolamo Battista è e resterà sempre  nei nostri cuori e la Sua maestria nell’incisione sarà testimonianza nel tempo. (Pasqua 2015) 
L'Artista Tregambe Girolamo Battista al lavoro.
Roberto Bodei e Girolamo Battista Tregambe
Girolamo Battista Tregambe e Vincenzo Baratella

Foto in Galleria con Artista 

Vincenzo Baratella: NOUMENO PER ZARPELLON



Vincenzo Baratella illustra il noumeno per Zarpellon:
un percorso tematico concettuale di cinquanta anni nell’Arte.


NOUMENO   PER   ZARPELLON


Nell’epoca della “mostra-mania” è arduo ricoprire il ruolo del curatore critico. Il più delle volte, per chi lo fa di mestiere -non è il mio caso-, rischia di sconfinare nelle fila dei pennivendoli: marinisti ridondanti di termini senza contenuti… La scopiazzatura delle frasi fatte, dei luoghi comuni delle metafore ovvie e obsolete.
La critica d’arte intesa come mestiere di avvocato di difesa dell’opera del pittore è ciò che si rileva tra i pieghevoli nelle personali con tanto di citazioni e forzati raffronti. Un management di epigrammi e massime da Lotto a Veronese, da Tiziano a Rembrandt, da Segantini a Schiele, da Klimt a Basquiat per far nascere dai neuroni: “la bellezza delle forme, il cromatismo equilibrato e la bravura a trecentosessanta gradi”. Sono intere cartelle e opere, critici e pittori con il demerito di contribuire, con la domanda e il consumo, a rincarare la carta, le tele e i colori. L’artista, con la A maiuscola, non ha bisogno di inutili parole, né di difensori dell’opera, tantomeno di penne al servizio del Mecenate; sa parlare di sé e per sé unitamente al prodotto dell’arte esibito. Toni Zarpellon è uno di questi. E in alcuni casi è stato problematico esporre a parole ciò che il suo animo ha mediato con l’opera. Oltre al perché e al come davanti agli occhi c’era il quadro e in sincronia emergeva la “spiegazione”.
Che cosa ho fatto? Conoscendo Toni da anni e condividendo un’amicizia spontanea e intellettuale ho solo interpretato l’intenzione, le motivazioni e gli stati d’animo. Non so se ciò sia tanto o poco, o sufficientemente adatto a scrivere di un Artista e della sua opera. Non vorrei scadere nella trattazione diarista, tantomeno nell’apologetica compattazione dei termini… deleteria forma per celebrare l’amicizia piuttosto del demiurgo. Il rischio è non fare quello che ho sopra contestato.
Toni è dunque artefice nel suo genere; è il pittore che graffia nervosamente i pastelli sulla carta, stende i colori senza la titubante paura degli accostamenti: viola e giallo, verde e rosso, grigi e blu.
Sono i suoi avvicendamenti emotivi: s’arrabbia e si consola; palesa sconforto e si rialza scrollando la polvere della banalità, diffusa alla stregua dell’ignoranza. Effettivamente chi crede di sapere è di gran lunga maggiore di coloro che “sanno di non sapere”, così come abbondano i commentatori degli storici della filosofia senza essere filosofi, pur professandosi tali. Perciò nell’oceano della mediocrità tentare di essere critico, con serietà mentale, vale dire far filosofia dell’arte: speculare su di un fenomeno umano interagente con la società e proiettato al futuro con le Weltantschuungen condivise o condivisibili.
Legittimare attraverso l’indagine speculativa il “noumeno” prodotto artistico del bassanese. Il tentativo è quello di superare “la barriera del suono”: un volo pindarico per mettere “in mostra” l’Artista e la sua arte. L’uomo l’ho conosciuto bene. Nella mente ho ritagliato le immagini che ritengo più significative: la sigaretta fumigante tra le dita e l’occhio fisso oltre la mia presenza, intento a sintetizzare il paesaggio dell’Altopiano.
Sono stato migrante nel suo studio ed ho visto, non amato nella concupiscente frenesia della soddisfazione del piacere, le sue “donne”. I nudi: nulla più di terribilmente duro, antiestetico oltre l’obesità di Rubens, introspettivi fino all’ultimo atto dell’analisi psicologica. Non ho visto donne sdraiate sui canapè ricoperti da asciugamani; sopra ai teli da bagno c’erano presenze scomode che si esibivano su improvvisati banchi di dissezione. Non certo la vecchia lezione di Rembrandt, fredda, morta, distaccata esclusivamente scientifica, ma una inusuale vivisezione senza liquidi biologici sparsi. Stanche, tristi, ritorte in posizioni fetali -posizione del ritorno al piacere-, abbandonate nell’esibire una sensualità non sfruttata, ho visto un’altra, autentica immagine della donna. Sdraio, divani, poltrone, foderate di teli colorati, non erano altro che i tavoli d’anatomia sui quali si esamina l’animo e Toni fa la biopsia introspettiva e comparativa.
Seziona i sentimenti e concretizza il momento del transfert. La donna spogliata non è oggetto (mai l’improprio paragone con le mariline pop), ma protagonista di un piacere intimo, di una sofferenza, di un’esibizione, di un confronto, di una compartecipazione con il mondo. Toni è veicolo; traduttore per i più di uno stato emotivo con una immagine fruibile.
Azzardai un paragone settoriale con l’analisi soggettiva fatta dagli espressionisti tedeschi; accettò il giudizio, tuttavia entrambi siamo consapevoli che trattasi di solo una tangente che condivide i temi e il periodo. In effetti Zarpellon non è un espressionista, sebbene ne abbia colto lo spirito.
Gli occhi incavati e circoscritti da profonde occhiaie, innaturali per la tipologia europide, esibiscono la fermezza contemplativa: guardare senza vedere, lasciando trasparire quello che l’animo ha da mostrare. C’è nella fisiognomica dei volti il recupero della negritudine, già fatta vedere da Picasso a Pechstein; modelli recuperati dal mito del buon selvaggio. Scomparsi dunque schemi non esoterici, ingenui forse, non inclusivi a meccanicismi esaltanti il consumismo né agli ingranaggi dell’economia perversa ed oligarchica.
I valori incuneati tra i lobi cerebrali, del superio buono, catechizzati, caritatevoli, moralmente sincroni al potere, servizievoli e controriformisti da cinque secoli in Toni sono divenuti opinabili e, in alcune situazioni, tramontati in lento e subdolo tradimento. In ciò ravviso la continuità nell’analoga crisi delle certezze interiori esplicitata dalla poetica espressionista.
Colpevole chi? Ha contribuito la macchina, in nome del progresso, a soffocare il libero pensiero del singolo. Il processo produttivo, conseguenza diretta del crescente tecnicismo, ha massificato i linguaggi “personali”, settoriali, limitando di fatto la lotta sociale per abbracciare deleteri prodotti dell’ingegno: arti usa-e-getta. Il recupero del banale per fruire oggi e gettare domani: l’arte popolare. La pop art.
Se giunse positivo a Pier Paolo Pasolini l’uso della terminologia tecno-popolare come mezzo per l’inculturazione sociale dopo il secondo conflitto e veicolo per la comunicazione da un capo all’altro della penisola, non si può legittimarne per sempre l’efficacia. Indubbiamente utile il messaggio uniforme, semplice di Mario Soldati nel singolare viaggio per l’Italia per l’utilizzo unitario della lingua; dannoso il perseverare dagli anni sessanta allo scopo di mantenere lo standard culturale medio-basso. Il programma globale delle grandi potenze: la zuppa Campbell e la Coca Cola di moda sulle tavole come le modelle platinate. Donne, bibite, sigarette, detersivi e zuppe sono prodotti soggetti a prezzo e dismissione. Mel Ramos palesa la metamorfosi da Wonder Woman a Belle Noiseuse.
Con la stessa velocità del prendere-consumare-buttare il mercato immette lavatrici, televisioni, frigoriferi, telefoni, cellulari, tablet e smartphone, … E se i primi sono abbastanza statici nella loro evoluzione e segnando utilità, i mezzi di comunicazione hanno avuto crescita esponenziale, inversamente proporzionale all’utilità individuale e direttamente con quella del potere, limitando lo sviluppo critico del pensiero. Nello stato di semicoscienza ne hanno approfittato i totalitarismi, i grandi fratelli, i persuasori occulti.
Effettivamente l’uomo pensante denuncia le imposizioni ideologiche e l’economia delle multinazionali responsabili di aver creato i mostri. Sono tali le puttane e i militari di Grosz, di Otto Dix, le fisiognomiche grottesche di Ensor … mostri dei Ventenni prima, dopo e … senza dubbio ancora per … sempre.
Zarpellon non esita a mostrare la crocifissione della personalità, peggiore di quella fisica. Il dio-uomo, neopositivista, che ha scongiurato le paure dell’ignoto, della malattia e del trascendente nell’annuncio nietzschiano del “dio è morto” è stato ammazzato proprio dalla sua creatura: la macchina.
Si capovolgono le certezze. In Metropolis la bellissima creatura s’appropria dei desideri del suo costruttore per diventare incontrastata dominatrice. Già i germi del malessere sono fissati nei fotogrammi del cinema espressionista tedesco di Lang. Analoga situazione l’ho sentita in Toni: sofferenza nell’afonia ostruttiva al dialogo; la comunicazione è sintetica, essenziale nel tratto forte e priva di virtuosismi manieristi, … espressionista dunque come l’universalità del dolore. Il canale comunicativo del bassanese è scarno allo scopo di giungere direttamente al destinatario, una pluralità di sottocodici espressivi limiterebbe la trasmissione delle visioni del mondo.
Alla Sorbona, i sessantottini contestarono le hegeliane teste di legno; stesse responsabili della massificazione e del livellamento della cultura sotto egida del pensiero di stato; gli spiriti liberi, i neo galilei, i marx, i marcuse, gli horkeimer, i brutti-cattivi … hanno lasciato più di quanto abbia fatto la “cultura” ufficiale.
Una schiera di creativi borderline che prima di morire sui lidi di Malta hanno realizzato, e potrebbero ripetere, il ritratto di attuali madonne proletarie. Ovviamente ci sono vincoli e freni alle opportunità espressive, perché c’è un filtro censorio difficilmente frangibile tra l’opinione massificata e l’idea innovativa artistica.
All’artista che rifiuta il compromesso con la cultura della tradizione imposta dalla politica di stato attraverso i media è preclusa anche la possibilità di mostrare; il dissidente è crocifisso, è messo al confino in nuove Ventotene.
Toni evade dal cerchio malefico e si rende libero dipingendo le cave dismesse dell’Altopiano. La Cava di Rubbio viene colorata con teste d’uomini e di animali. Fissa anime inquiete con occhi sbarrati: i suoi alla tensione di spiegare il noumeno, il quid oltre la fisica per aprire le porte dell’intelletto alla libera circolazione delle idee.
La cava dipinta assume il ruolo del tranquillante alle pulsioni e alle rabbie dell’incomunicabilità. Toni riallaccia il dialogo con il pubblico attraverso il recupero di qualcosa di smesso. Il “vestito” scavato, logoro, sfruttato dai grandi del cemento -responsabili della violazione della natura, della cementificazione selvaggia, correi della morte dell’individuo unitamente alla macchina- è rinfrescato, passato in “tintoria”. Toni è l’artefice della restaurazione e nel contempo fruisce dell’autoanalisi: il transfert con la Natura. Tra gli interstizi dei blocchi e lungo le fratture di faglia le larve rigenerano.
Dalla morte alla rinascita; Zarpellon costruisce il ponte, Die Brücke, analogo a quello degli espressionisti, con il distinguo. Non c’è la separazione tra le due sponde, ma il collegamento tra prima e dopo, tra la fine e l’inizio, tra l’ovvio e la verità sofferta.
E ancora: per scongiurare il responsabile dell’eccidio comune era doveroso far rivivere nella cava i fantasmi della macchina: fisiognomiche ricavate da serbatoi destinate ad “abitare” la seconda Cava di Rubbio.
Qui il silenzio, estatico, incommensurabile misura l’eternità nel tempo. Tra il paesaggio ospitale, arcadico, bomboniera di mostri si compatta nell’ossimoro la nausea esistenziale; è la sofferenza del presentarsi agli altri che induce al malessere dell’esistenzialismo, quello sartriano. Si ravvisa la sofferenza jasperiana nell’estraneità anche con un cosmopolitismo teologico. Comunque nel dualismo tra dire e fare, tra fenomeno e noumeno, tra certezza ed incertezza s’avviluppa il groviglio mentale che induce a rendere atto la potenza.
I serbatoi sventrati altro non sono che ritratti fedeli dell’essenza dell’intimo umano del terzo millennio con lo sfondo adeguato, in sintonia: dall’altopiano a picco sulla piana bassanese s’intersecano lombrichi di strade pullulanti di veicoli … ancora un frenetico carnaio urbanizzato.
Tuttavia è dalla solitudine, dalla vegetazione, dai soliloqui che s’insinuano le auto-certezze; i dialoghi interiori su cui radicano le relazioni umane e si confrontano i saperi … Ricordo che migliaia sono annualmente le visite alle Cave di Rubbio. Sono queste ultime un indiscusso ricettacolo d’idee e punto d’interscambio culturale.
Toni Zarpellon riadatta la metafora settecentesca del lume della ragione contro secolari tenebre dell’ignoranza. La candela dentro la zucca svuotata: la luce in testa per sconfiggere paure, streghe, malefici e pilotare lo sforzo razionale alla conquista del sapere. Illuminazione dunque contro i fantasmi della non-conoscenza. Sorgono le domande: i grafemi tanto sfruttati dal Bassanese.
Susseguono innumerevoli quesiti; effettivamente l’arte più che dare risposte alterna interrogativi a provocazioni, sillogismi e metafore. I programmi, i manifesti del XX secolo hanno fatto emergere settoriali angolazioni d’indagine attendendo l’unanime consenso durante e dopo la progettazione. In molti casi l’adesione del singolo alla corrente è forzata; un tentativo di mettere d’accordo delle idee, quasi un’associazione d’insiemi che convergono in una misera appendice di scopo. Con un segno, con una pennellata è già astrattismo, magari informale … E il Novecento è stato fecondo di movimenti, o di intenzioni che hanno codificato correnti.
Man Ray sostenne che l’amico Duchamp preferì lavorare da solo, senza adattarsi a schemi plurisottoscritti, né  a manifesti.
Toni è artista individualista, poco disposto a condividere in équipe il pensiero e non fa neppure “scuola di bottega” pur avendo uno stuolo di estimatori, collezionisti, amici dalle cave allo studio.
Sono convinto che abbia ripreso “colore” con la full immersion nell’Altopiano; le larve in simbiosi con il pubblico e con la natura hanno dato vigore al DNA creativo. In plein air ha maturato la disponibilità alla comunicazione, riappropriandosi il ruolo d’Artista. E’ una ri-nascita della sua produzione: razionale, sincretica, più soppesata rispetto al linguaggio pittografico della Cava dipinta; l’opera è eseguita nello studio nel dualistico intimo dialogo io-io.
Esegue l’autoritratto per autoanalisi e rispondere alle questioni dell’identità non-certa, inculcata dal “vai sociale”. Cento o forse più le auto rappresentazioni, autocelebrazioni, auto interrogativi: noumeni. Sono volti colti nell’essenzialità del segno e del colore, pur evidenziando appieno i volumi. Ho ravvisato un intrinseco collegamento di continuità con l’arte nera portata in Europa il secolo scorso.
Lo studio è il grembo, dove matura il desiderio di esibirsi per cum-dividere. Lo stress positivo necessita dell’altra oltre al sé per completarsi e per esprimere la peculiare poetica. Il sillogismo è l’idoneo mezzo. L’ipotesi è creazione cerebrale: illuminazione, vita interiore, il sé. L’antitesi è nell’incertezza, nel quesito, nel noumeno. La tesi si auto produce nell’universalizzare ciò che è dentro, il vissuto che necessita dell’altro fuori da sé. Toni crea le teste di donna. Ancora cento per logica comparazione ed equilibrio.
Effigi non belle, tecnicamente non elaborate. La fotografia avrebbe riprodotto puntualmente donne fatali non gli stati emotivi. Nei volti  sono stampate espressioni diverse: il sorriso, la fissità dell’introspezione, lo sguardo penetrante, … La mimica facciale continua con il corpo: i nudi.
Donne sdraiate su divani, su seggiole di vimini sono colte nella meditazione; nell’intenzione di lasciare allo spettatore il pensiero piuttosto della figura. Modelle non intenzionate a dare spettacolo con il corpo, ma comunicare il succo dell’identità. Toni supera l’espressionismo estetico, post-impressionista di Derain; le figure del bassanese acquisiscono i caratteri introspettivi analogamente, e più, dell’esibizione dell’io-nudo di Marcella di Kirchner.
Dalle tele e dai disegni esce l’aria pesante, dura dell’attesa. La femmina colta nel suo essere tale, senza difese, gravida solamente del desiderio di comunicare la personalità, repressa sotto gli abiti. La nudità esprime ciò che è dentro, altrimenti non visto perché occultato dalle vesti: le divise di femmina. Davanti all’artista c’è l’occasione per raccontare l’identità di donna in piena libertà.
I nudi di Zarpellon non sono dunque piacenti, né inducono a pensieri sensuali; la nudità è disarmata nel proporsi e disarmante nell’autocelebrazione; sono ostentazioni di esistenzialismo senza vanità.
Comunque immagini quasi private uscite dallo studio … Lui seduto tra i colori e alle sue spalle l’opera finita: la modella volta ad osservare l’aprica distesa della pianura sotto l’Altopiano.
Presentimento della necessità di uscire, gustare i sapori delle stagioni, il profumo dell’erba, l’odore dello stallatico e dei ciclamini. Linee d’orizzonte squassate da monti lontani; terre  verdi e rosse, linee color ruggine e cieli tersi. La scomposizione del paesaggio era posizionata lì davanti ai miei occhi e sulle sue tele. 
La sintesi e la globalità della visione: faggeti rossi esibivano avvizzite le foglie nella corale verde dei declivi.
La nuova Arcadia era forse tra quei monti? Forse sì. Toni m’aspergeva di fumo nella conversazione. Avvertii Zarpellon forte, filosofo nel puntare al petto il fioretto delle sue sentenze. Nuovo Courbet esalta lo spirito della vita in una bucolica neo-Barbizon.
Daumier avrebbe ancora mostrato i passeggeri di terza classe; Toni non disdegna di lanciare strali contro gli oligarchi dell’economia… Si sente coinvolto nel consorzio esistenziale. Satirico, sprezzante, nell’unicità interpretativa mostra pure il paesaggio quotato in borsa in un grafico di rialzi e cadute improvvise. Messaggio veritiero come sa fare un artista immune da mediazioni di parte.
Ho sentito sotto le suole lo scricchiolio della neve ancora dura sopra le zolle erbose. I rivoli freddi del disgelo liberano i totem della Cava abitata; le creature tristi, morte anzitempo, crocifissi dalle macchine che li hanno generati, rimangono nella pietraia desolata, così come si mostrano ancora facete le creature larvali variopinte della Cava dipinta.  Reggendo la sigaretta come un tedoforo, maratoneta nel paradiso di Rubbio ho gustato ancora l’arte, la sua, nelle linee carminio di nubi al tramonto e nel cupo di verdi lontani. Ho abdicato ogni pensiero razionale ed ho risentito dentro la poesia.
                 Vincenzo Baratella
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Toni Zarpellon è nato a Bassano del Grappa dove vive e lavora. Ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha insegnato presso gli Istituti d'Arte di Nove e dei Carmini di Venezia. Espone dal 1965 in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero. Nell'autunno del 1989 inizia gli interventi nelle "Cave di Rubbio"; una notevole impresa per la quale la comunità di Rubbio, nell'aprile 1991, gli assegna un riconoscimento.
La sua attività artistica è documentata presso: l'Archivio Storico A.S.A.C. della Biennale di Venezia; Fondazione Ragghianti, Lucca; Fondazione Corrente, Milano; Biblioteca Kandinsky, centro Pompidou, Parigi e altre istituzioni Culturali in Italia e all'estero. Nel marzo 1999 è stato iscritto all'Albo Nazionale Pittori e Scultori, A.N.P.E.S.
L'opera di Toni Zarpellon è riportata da Giorgio di Genova nella storia dell'arte italiana del '900.
Nel 2006 e 2008 si fa riferimento all’opera del bassanese nelle edizioni Electa "La pittura nel Veneto - Il Novecento"
E’ presente con "Cento giorni per cento autoritratti 1999-2000” presso la Sala Ospiti del "MAGI", Museo d'Arte delle Generazioni italiane del '900, a Pieve di Cento (BO).
Nel 2008 è invitato alla rassegna "Arte al bivio -Venezia negli anni sessanta-" a cura di Nico Stringa, tenutasi presso l'università Cà Foscari. Nel 2011 è uscito, per le edizioni Napoli Nostra, il volume "Fra tradizione e innovazione - artisti italiani da non dimenticare" dove Rosario Finto ha preso in considerazione l'opera di Toni Zarpellon.
Un dipinto del 1973 è pubblicato nel catalogo della mostra  alla Casa dei Carraresi di Treviso "II pittore e la modella, dal Canova a Picasso".
A marzo  2008 e in aprile 2011 è allo Studio Arte Mosé di Rovigo con due personali tematiche. Nel settembre dello stesso anno espone  all’ex-Istituto Statale d'Arte in Campo dei Carmini a Venezia. Successivamente a Milano riscuote unanimi consensi. Nel 2013 è tra gli Artisti della Fiera Arte Padova.
©  Copyright 2014.  Studio Arte Mosè