venerdì 17 febbraio 2017

VILFRIDO PAGGIARO, Il ritorno di Fico Mistico


Il ritorno di Fico Mistico

Diventa quasi una mortificazione, un senso d’impotenza culturale quando mancano i netti indicatori per l’inclusione di un artista nell’idoneo “faldone”. Pur bene poiché l’età delle classificazioni, degli stereotipi di corrente dovrebbe essere finita o quanto meno si spera non abbia strascichi nell’autodeterminazione. Premessa doverosa, che ha tutto il senso di mettere le mani avanti. Evito quindi di dire: “è da annoverare tra i…”. L’incertezza sull’etichetta attribuibile fa di Paggiaro un Artista creativo a se stante. In effetti compatta tutti e nessuno; è e non è pop, surrealista, realista, simbolista, fumettista. Un fuori corrente che esibisce una personalissima interpretazione congiunta alla tecnica fatta di tenui soffusi toni di velature, modellando morbide creature con l’armonia delle tavole illustrate. Vilfrido libera il minuzioso arpeggio delle linee legittimando, magari inconsciamente, la perizia dell’architetto. La sicurezza delle prospettive, anche improbabili, è tipica della categoria. Ma ciò è corollario sulla consapevolezza di sbizzarrirsi attraverso la fantasia e gongolare con il proprio io nelle libertà della personalità creativa. C’è l’inconscio godimento nel fare, poiché le sue opere mai di grandi dimensioni, iniettano un sereno benessere: il sarcasmo delle metamorfosi della coscienza tra sogno e realtà, tra essere ed esibire. Un filo di precaria demarcazione tra lo spirito dionisiaco, l’esibizione dell’Es, e il demone socratico, mentore dell’elemento apollineo. Avrebbe avvalorato Nietzsche l’incipit dell’umano troppo umano. Paggiaro narratore della fiaba intima dove, anche senza il superamento di prove e ostacoli, senza riti d’iniziazione, marca momenti incisivi dell’esistere nell’interscambio col mondo. Non esagero se sottolineo la proiezione dell’artista sopra ogni cosa, per osservare, per imporre la sua lezione di virtù. E’ sempre lui sul davanzale, sull’abisso circoscritto di inusuali prospettive, turista mitteleuropeo, mediterraneo nella raffigurazione dell’io narrante: il fico d’india. Inizia l’affabulazione, come in Amarcord: le navi, l’incrociatore in pensione, il Bosforo, i ritratti, le coste dalmate, San Joan d’Alacant, una luna da cani intenta a spiare… inizia il flamenco, l’eterno ritorno dell’istintuale a priori. Il protagonista della saga è la pianta mediterranea: oggetto che ritorna per provocare il ricordo. Il fico messicano, delle Indie per Colombo, è l’aiutante segreto nella fabulazione di Vilfrido Paggiaro; un pretesto per dare continuità agli episodi, come nella filmografia di parrocchia in altri tempi: il ritorno di Zorro, del Corsaro Nero, di Gozilla, il ritorno di… Fico Mistico. La cactacea, con nome e cognome, avvia una ricerca a ritroso,  ai tempi in cui si giocava con l’ingenua spensieratezza associando visioni fantastiche. Per il recupero della memoria semantica, avrebbe suggerito Eco, viene in aiuto la fiamma della regina Loana, analogicamente somigliante al ritorno del Fico Mistico. Nella metafora emerge la carnosità dei cladodi, la sensualità del fiore e nel contempo la vulnerabilità; ha bisogno di una copertura di spine. Come in ogni visione teologica s’alterna il dualismo bene e male, nel Fico Mistico emerge l’umano sarcasmo. Vilfrido lo colloca sopra gli umani, nel labirinto onirico. Fico Mistico è nel sogno collettivo, per dare la scossa alle emozioni, soprattutto quelle dell’infanzia, con la gioia della ripresa, della riproposta, il ritorno degli  eroi buoni… “arrivano i nostri”. Fico Mistico apre la finestra sull’intimo, sui giochi ingenui, sui fantasmi, come comparirono  nelle strisce dei fumetti. L’ascetismo dell’artista vive dell’introspettivo recupero di fantasie e di riferimenti a dati informativi che comunque hanno segnato l’inculturazione nozionistica e utopistica. La nave Aurora vascello fantasma solca i mari  senza meta, solo per assolvere il destino segnatole; forse è l’incrociatore nato a San Pietroburgo per dare sostegno alle popolazioni terremotate a Messina nel 1903 e per combattere nella guerra russo-giapponese a Tsushima… all’orizzonte s’innalzano nel cielo i raggi del “sol levante”. La fantasia viaggia tra certezze e incubo; similmente stabile e instabile regolano il fragile equilibrio dell’onirico; l’oggetto ingigantito, il fico d’india leit motiv di Vilfrido, palesa  l’irrazionale struttura del pensiero. La pianta grassa è gigante contro il soggetto agendi, che tenta uno spostamento;  il pensiero forte instabile tra un baratro oltre gli scalini e l’incommensurabile liquido amniotico: il mare. Lo stesso nel  quale fluttuano “le sirene del Bosforo”: procaci ammaliatrici di bellicosi Ulisse, naviganti  sulla rotta tra occidente e oriente. Il “fumetto” di Paggiaro  guarda con attenzione al mare; mari leopardianamente adatti al naufragio delle emozioni… una teenager bionda, con mini leopardata, anni settanta, simboleggia il godimento dell’attimo nella spensieratezza. Simboli? Indubbiamente tutti i particolari delle opere di Vilfrido sono simboli; la sua narrazione rientra nella raffigurazione del sogno; quello  della memoria episodica della giovinezza… richiama analogie con la striscia con Cino e Franco, con Pecos Bill, con Tex Willer o con il contemporaneo e indubbiamente mordace personaggio di Zanardi. La fiamma della regina Loana, i racconti figurati di Pratt e la full immersion nel mondo di Fantasia, ove tutto è logico e nel contempo illogico, con o senza riferimento al reale, ritorna con i “bagnanti pera”, debitamente sessuati nei costumi a righe, alla moda del Doganiere, rosa femmina e azzurro maschio. L’artista di Mogliano si libra regolatore delle sue creature, in alto, nel cielo su di una poltrona tra le nubi; sul capo la colomba irradia la teologica purezza dell’evento. Mediatore, nella nicchia d’altare del Polittico dell’Agnello Mistico di Jan van Eyck, troneggia, sacro, unto dagli Dei dell’immaginazione, il fico d’india mistico.                            ©Vincenzo Baratella
Naufragio
Vascello fantasma
Finisterre
Sirene sul Bosforo
Elafita
 art. La voce di Rovigo, 1.3.2017

Momenti inaugurazione mostra:
Sig.ra Irene Paggiaro, Paggiaro, Baratella
Prof. Giuliano Pajarini in un suo "commento" musicale
Momento inaugurazione
Il prof. Pajarini e la gallerista Prudenziato
Momento inaugurazione
Prudenziato, coniugi Paggiaro, Baratella, Pajarini.


STUDIO ARTE MOSE', Collettiva



Presentazione delle opere dalla gallerista Emanuela Prudenziato