Diventa
quasi una mortificazione, un senso d’impotenza culturale quando mancano i netti
indicatori per l’inclusione di un artista nell’idoneo “faldone”. Pur bene
poiché l’età delle classificazioni, degli stereotipi di corrente dovrebbe
essere finita o quanto meno si spera non abbia strascichi
nell’autodeterminazione. Premessa doverosa, che ha tutto il senso di mettere le
mani avanti. Evito quindi di dire: “è da annoverare tra i…”. L’incertezza
sull’etichetta attribuibile fa di Paggiaro un Artista creativo a se stante. In
effetti compatta tutti e nessuno; è e non è pop, surrealista, realista,
simbolista, fumettista. Un fuori corrente che esibisce una personalissima
interpretazione congiunta alla tecnica fatta di tenui soffusi toni di velature,
modellando morbide creature con l’armonia delle tavole illustrate. Vilfrido
libera il minuzioso arpeggio delle linee legittimando, magari inconsciamente,
la perizia dell’architetto. La sicurezza delle prospettive, anche improbabili,
è tipica della categoria. Ma ciò è corollario sulla consapevolezza di
sbizzarrirsi attraverso la fantasia e gongolare con il proprio io nelle libertà
della personalità creativa. C’è l’inconscio godimento nel fare, poiché le sue
opere mai di grandi dimensioni, iniettano un sereno benessere: il sarcasmo
delle metamorfosi della coscienza tra sogno e realtà, tra essere ed esibire. Un
filo di precaria demarcazione tra lo spirito dionisiaco, l’esibizione dell’Es,
e il demone socratico, mentore dell’elemento apollineo. Avrebbe avvalorato
Nietzsche l’incipit dell’umano troppo
umano. Paggiaro narratore della fiaba intima dove, anche senza il
superamento di prove e ostacoli, senza riti d’iniziazione, marca momenti
incisivi dell’esistere nell’interscambio col mondo. Non esagero se sottolineo
la proiezione dell’artista sopra ogni cosa, per osservare, per imporre la sua
lezione di virtù. E’ sempre lui sul davanzale, sull’abisso circoscritto di
inusuali prospettive, turista mitteleuropeo, mediterraneo nella raffigurazione
dell’io narrante: il fico d’india. Inizia l’affabulazione, come in Amarcord: le
navi, l’incrociatore in pensione, il Bosforo, i ritratti, le coste dalmate, San
Joan d’Alacant, una luna da cani intenta a spiare… inizia il flamenco, l’eterno ritorno dell’istintuale a priori.
Il protagonista della saga è la pianta mediterranea: oggetto che ritorna per
provocare il ricordo. Il fico messicano, delle Indie per Colombo, è l’aiutante
segreto nella fabulazione di Vilfrido Paggiaro; un pretesto per dare continuità
agli episodi, come nella filmografia di parrocchia in altri tempi: il ritorno
di Zorro, del Corsaro Nero, di Gozilla, il ritorno di… Fico Mistico. La
cactacea, con nome e cognome, avvia una ricerca a ritroso, ai tempi in cui si giocava con l’ingenua
spensieratezza associando visioni fantastiche. Per il recupero della memoria
semantica, avrebbe suggerito Eco, viene in aiuto la fiamma della regina Loana,
analogicamente somigliante al ritorno del Fico Mistico. Nella metafora emerge
la carnosità dei cladodi, la sensualità del fiore e nel contempo la
vulnerabilità; ha bisogno di una copertura di spine. Come in ogni visione
teologica s’alterna il dualismo bene e male, nel Fico Mistico emerge l’umano
sarcasmo. Vilfrido lo colloca sopra gli umani, nel labirinto onirico. Fico
Mistico è nel sogno collettivo, per dare la scossa alle emozioni, soprattutto
quelle dell’infanzia, con la gioia della ripresa, della riproposta, il ritorno degli eroi buoni… “arrivano i nostri”. Fico Mistico
apre la finestra sull’intimo, sui giochi ingenui, sui fantasmi, come
comparirono nelle strisce dei fumetti. L’ascetismo
dell’artista vive dell’introspettivo recupero di fantasie e di riferimenti a
dati informativi che comunque hanno segnato l’inculturazione nozionistica e
utopistica. La nave Aurora vascello fantasma solca i mari senza meta, solo per assolvere il destino
segnatole; forse è l’incrociatore nato a San Pietroburgo per dare sostegno alle
popolazioni terremotate a Messina nel 1903 e per combattere nella guerra russo-giapponese
a Tsushima… all’orizzonte s’innalzano nel cielo i raggi del “sol levante”. La
fantasia viaggia tra certezze e incubo; similmente stabile e instabile regolano
il fragile equilibrio dell’onirico; l’oggetto ingigantito, il fico d’india leit
motiv di Vilfrido, palesa l’irrazionale
struttura del pensiero. La pianta grassa è gigante contro il soggetto agendi,
che tenta uno spostamento; il pensiero
forte instabile tra un baratro oltre gli scalini e l’incommensurabile liquido
amniotico: il mare. Lo stesso nel quale
fluttuano “le sirene del Bosforo”: procaci ammaliatrici di bellicosi Ulisse, naviganti sulla rotta tra occidente e oriente. Il
“fumetto” di Paggiaro guarda con
attenzione al mare; mari leopardianamente adatti al naufragio delle emozioni…
una teenager bionda, con mini leopardata, anni settanta, simboleggia il
godimento dell’attimo nella spensieratezza. Simboli? Indubbiamente tutti i
particolari delle opere di Vilfrido sono simboli; la sua narrazione rientra
nella raffigurazione del sogno; quello della memoria episodica della giovinezza… richiama
analogie con la striscia con Cino e Franco, con Pecos Bill, con Tex Willer o con
il contemporaneo e indubbiamente mordace personaggio di Zanardi. La fiamma
della regina Loana, i racconti figurati di Pratt e la full immersion nel mondo
di Fantasia, ove tutto è logico e nel contempo illogico, con o senza
riferimento al reale, ritorna con i “bagnanti pera”, debitamente sessuati nei
costumi a righe, alla moda del Doganiere, rosa femmina e azzurro maschio.
L’artista di Mogliano si libra regolatore delle sue creature, in alto, nel
cielo su di una poltrona tra le nubi; sul capo la colomba irradia la teologica
purezza dell’evento. Mediatore, nella nicchia d’altare del Polittico
dell’Agnello Mistico di Jan van Eyck, troneggia, sacro, unto dagli Dei
dell’immaginazione, il fico d’india mistico. ©Vincenzo Baratella
Naufragio
Vascello fantasma
Finisterre
Sirene sul Bosforo
Elafita
art. La voce di Rovigo, 1.3.2017
Momenti inaugurazione mostra:
Sig.ra Irene Paggiaro, Paggiaro, Baratella
Prof. Giuliano Pajarini in un suo "commento" musicale
Momento inaugurazione
Il prof. Pajarini e la gallerista Prudenziato
Momento inaugurazione
Prudenziato, coniugi Paggiaro, Baratella, Pajarini.
Nessun commento:
Posta un commento