giovedì 10 dicembre 2020

IL PETRARCA DI IMPERO NIGIANI

Laura e Francesco, acquaforte, 2020

PETRARCA DI IMPERO NIGIANI

Salire con Gherardo, il fratello, sulla sommità del monte Ventoso, nei pressi di Valchiusa in Provenza, è l’ascesa verso mirabili vette e conquiste profonde per mettere alla prova i limiti e le potenzialità umane; un’autovalutazione sulle conoscenze e sulle certezze della vita stessa. Un imperativo esistenziale per il grande aretino-padovano-cosmopolita Francesco Petrarca. L’umanista cristiano mosse i primi passi a Incisa Valdarno, paese natale di Nigiani. Coincidenze o circostanze dettate da una terra fecondata dalla cultura? Impero Nigiani, definito dalla critica, pittore citazionista -appellativo gratificante poiché ha dato concretezza artistica a pagine di storia e di letteratura-, ha avvertito l’estro creativo nel porzionare in cinque acqueforti le tappe salienti dell’esistenza del grande compaesano. Solitamente con la numerazione delle dita di una mano, numero che definirei scaramantico per  argomentare un tema, Nigiani dà ad intendere che la sua arte incisa sia una preparazione e\o compendio dell’opera pittorica; in realtà palesa nel tratto la spontanea immediatezza di un bocciolo che darà un pianificato fiore. Nel corpus petrarchesco l’inizio è rappresentazione di stampo romantico, Strurm und Drang; l’impeto del vento e la tempesta interiore, scena emblematica sul monte Ventoux. E’ incipit nel dare il senso della ricerca, come scrisse Petrarca a Dionigi di Borgo San Sepolcro, e Nigiani  dà continuità all’indagine. Racconta con un solo ritratto Laura; la fanciulla amata e rubata alla vita dalla peste del 1348. Impero Nigiani coglie le coincidenze. Le pandemie, quella e questa, che rubano gli affetti e incentivano al dialogo profondo, alla meditazione, alla produzione del pensiero intimo. Sono i comuni interessi del Poeta e del Pittore: le simbologie amate dai due per dare un senso alla vita terrena e per non morire dopo la morte. Laura, delicata creatura, sguardo indiretto per innocente pudicizia, è posta  di fronte a Francesco cinto d’alloro. Nigiani nella grafica ha saputo tributare le sfumature fonetiche e i significanti dei termini Laura, alloro -il dottorato ad honoris di poeta, la laurea dunque- e il lauro di mitologica memoria che riporta a Dafne. Nella terza acquaforte, Avignone,  Nigiani compatta le differenze anche con pochi elementi; fa vedere il crocchio subdolo dei teologi, il giovane Apollo e l’orizzonte sintetico in un’architettura di mura entro le quali si accolse la cattività avignonese papale. Nigiani focalizza Francesco con in mano le Confessioni: nella Babilonia dei mores, ieri come oggi, si pone la questione di uno dei tre mali agostiniani, quello morale, indebellabile da qualsiasi vaccino. A seguire due fogli in cui emergono le pacate contrapposizioni: il borgo avito del Petracco, notaio, guelfo bianco, in Valdarno e il paesuccio d’Arquà… Solo e pensoso per i viottoli dei Colli Euganei, tra la domus, l’oratorio della Santissima Trinità e la piazzola su cui ora s’erge la tomba. In questa quinta acquaforte Nigiani ha inserito la gatta. Immagine che mi riporta ricordi di bimbo in gita scolastica alla casa del Poeta. Epoca assai lontana, ora tutto cambiato… Allora ancora le teche polverose con i manoscritti, l’arredamento austero e in alto nella nicchia sul muro, la guida -anziana pienotta petulante- indicava un fagotto informe, avvizzito: la gatta imbalsamata che in vita s’accompagnava a Francesco nelle ultime escursioni meditative. Nigiani, mago nel gestire le emozioni, ha magistralmente fissato in cinque tappe il percorso psicologico. Vincenzo Baratella

Gherardo e Francesco su Monte Ventoso

Arquà Petrarca, la tomba e la gatta del Poeta