martedì 14 gennaio 2020

DAL CLASSICO ALLA POPULAR ART




Dal classico alla popular art

Esiste un’evoluzione nell’espressione artistica che rispecchia la cultura, la mentalità, il modo di vivere, pensare della gente senza alcuna distinzione di classe. Molto spesso tuttavia quando si parla di arte vi è un riferimento ad una rappresentazione leggibile in cui riconoscersi e ritrovare la propria identità sociale. Nell’arte che rappresenta oggetti familiari, personaggi famosi si raggiunge una incredibile vicinanza con qualcosa di passeggero, che rimanda ad una realtà momentanea, un istante di affermazione del proprio essere, per poi inseguire altre mode, altri scoop, avvenimenti che colpiscono l’attenzione dell’opinione pubblica che a sua volta si identifica con il successo immediato ed il suo ricordo. L’arte fagocita se stessa per ritornare sempre diversa, imprevedibile sotto forme nuove per colpire l’osservatore e poi sparire e ricominciare un gioco senza fine e privo di una identità precisa, definita; non è più punto di riferimento, ma può diventare in qualche caso un buon affare. Insomma solo soldi, non serve il contenuto rappresentato, ma il nome di chi ha avuto l’idea, il coraggio di sfidare per la prima volta e quindi segnare una spaccatura con la comunicazione tradizionale. L’oggetto raffigurato, la situazione possono essere comuni, scontati, non avere nulla di particolare, ma rimane l’atto, la volontà di colui che ha deciso di usarli e farsi identificare con loro. L’arte classica rappresenta equilibrio, armonia, un discorso simbolico, analitico non sempre d’immediata lettura per la massa. Ragion per cui può rimanere come qualcosa di piacevole, di bello, ma pur sempre lontano dall’esperienza della banalità faticosa del quotidiano fatto di cibo straniero, gusti che dovrebbero creare esaltazione esistenziale, risolvere problemi anche affettivi. (hamburger per incontrarsi, ritrovare legami familiari…). Come creare allora un collegamento fra la consuetudine giornaliera e il linguaggio dell’arte? Riuscire a coinvolgere il fruitore di un’opera d’arte significa saper leggere nel suo animo. Piero Costa. La sua realizzazione pittorica è un’interpretazione ironica dell’opera di Juan Sanchez Cotan. Nella natura morta con cardo Costa ha inserito, al posto della cacciagione ed altri soggetti naturali, un paio di scarpe da tennis; anche quest’ultime sono un oggetto privo di una qualsiasi funzione se non indossate come la frutta e la verdura una volta colte perdono la loro esistenza vegetativa.  Il gesto pittorico dell’artista Paolo Rigoni bene interpreta la condizione esistenziale contemporanea con la realizzazione di una tela costituita da fogli di quotidiani nazionali ed esteri alle spalle di un uomo che grida. L’espressione è la conseguenza di una realtà che molto spesso utilizza i mezzi di comunicazione virtuale per creare disorientamento, incertezza e controllare meglio le masse ormai ebbre di news: mondo virtuale che si confonde con il vero. Un urlo di disperazione esistenziale che ricorda l’opera di Munch, anche se la tematica storicamente si differenzia. Dal punto di vista tecnico  nel quadro di Munch la figura umana è deformata  per motivi psicologici ed appare nella sua essenza; nell’opera di Rigoni l’individuo  è  alle prese con una situazione che costantemente, quotidianamente gli sfugge, pensa di leggere la verità, la notizia utile, interessante, importante sul giornale che subito dopo perde nel tempo il suo valore  e deve essere accantonato; ciò che rimane è solo un pacco di carta: la sola cosa che può essere ancora adoperata. Una tecnica similare viene utilizzata da Lino Lanaro. Nei suoi quadri molto spesso la base è costituita da giornali, di cui evidenzia qualche titolo, in connessione con l’argomento proposto. Oltre a ciò si richiama alla rappresentazione di personaggi conosciuti a livello internazionale come il defunto presidente della Cina: Mao. Profumo di donna è il titolo dell’opera che presenta l’immagine di una sfinge: icona della civiltà egiziana e simbolo per eccellenza dell’indecifrabile spirito femminile, in connessione una donna, in abito rosso, colore legato alla rappresentazione del sentimento, in posizione  rannicchiata, quasi fetale. Il quadro offre elementi molto vicini alla sensibilità di un pubblico vastissimo e non hanno bisogno di presentazioni. Giorgio Grossi. Le sue sperimentazioni avvicinano ancor di più l’osservatore in quanto pur esprimendosi con materiali non sempre usuali ne rappresentano e sostengono l’idea: la prima opera realizzata con il cemento è un chiaro riferimento al paesaggio dell’entroterra riminese mentre la seconda è legata agli affetti familiari e© ai luoghi usuali con la tecnica del collage atta a creare un caleidoscopio colorato di emozioni, sentimenti, ricordi. Vicentini. L’immagine è classica con Palazzo Ducale, Piazza San Marco, luoghi che appartengono all’umanità, patrimonio artistico ineguagliabile unito ad una presenza perfetta nell’aspetto per l’armonia, l’equilibrio delle forme, ma contrastante sia per il mezzo di locomozione che usa (bici) sia per la consistente assenza di vestiario. Comunque in sintonia con il concetto di bellezza e le sue possibili rappresentazioni. Finotti propone un’incisione riproducente una forchetta all’interno di una struttura che racchiude un elemento anatomico femminile (un seno) per parlare della donna, la sua peculiarità unica di dare la vita, nutrimento, sostentamento fondamentale per la famiglia attraverso una sintesi grafica. Nicoli. Figure di cavalli dipinti nella loro eleganza utilizzando un accostamento cromatico che ne individua la forma e la sostanza, un momento di eleganza plastica. Marcon. Pur nel rigore del segno, delle procedure incisorie il paesaggio in blu si distacca dalla consuetudine; un abbaglio di luce e tutto assume una dimensione inusuale. Calabrò presenta una sincronia fantastica fra musici angelici e campielli veneziani. Nigiani. In occasione del centenario della nascita ha compattato un simbolico atelier dell’artista rodigino nel quale campeggia il ritratto di Mosè intento a dipingere una mucca in un pianoro, rievocando il connubio toscano macchiaiolo nella tematica e nel vigore tecnico del pittore polesano. Alle pareti vi sono le riproduzioni miniaturizzate di alcune significative opere di Mosè. Sullo sfondo si stagliano le torri di Rovigo. Mosè con la sua maestria pittorica raggiunge alti livelli espressivi coinvolgenti sia per gli argomenti affrontati e sia per i soggetti proposti. Emanuela Prudenziato©.

Impero Nigiani, Omaggio a Mosè, olio su tela



Mosè Baratella, Polifemo, olio su tela

Piero Costa, Omaggio a Cotan, olio su tela
Mariano Vicentini, Nevicata a Venezia, olio su tela
Claudio Nicoli, Cavalieri, acquarello
Paolo Rigoni, L'urlo, tecnica mista
Luigi Marcon, Impenetrabile..., acquaforte acquatinta

Lo Studio Arte Mosè, sabato 18 gennaio 2020 alle ore 18 in via Fiume,18, presenta la mostra “Dal classico alla popular art”. La rassegna è costituita da una ventina di opere atte a rappresentare le diverse esperienze  pittoriche testimoniate  dai lavori di artisti che hanno elaborato, non solo le diverse tecniche, ma anche il pensiero  delle passate epoche storico-culturali, al fine di offrire un’interpretazione altrettanto efficace e personale. Sono significativi interpreti: Grossi, con sperimentazioni inusuali, realizza opere dal contenuto vicino alla sensibilità comune. Lanaro  ci propone le sue icone e immagini  di personaggi storici. Costa, un non più giovane artista che ha iniziato la sua attività artistica giovanissimo in America Latina, in Spagna e successivamente a Milano, celebrato in questi giorni da straordinari reportage di  TeleMantova, città in cui attualmente risiede. Nicoli Claudio, scultore di origine bolognese, già presente  a Rovigo e noto ai più per le straordinarie presenze scultoree che campeggiano in alcune piazze d’Italia, con una fortunata mostra in Pescheria nuova, dà con un paio di opere un’anticipazione. Rigoni, asiaghese e umbro di adozione, continua a mantenere il sodalizio con la galleria anche a seguire i numerosi successi nelle più prestigiose rassegne. Finotti, scultore veronese, che ha esposto la sua produzione plastica nella scorsa annata a Matera, città della cultura e a Seul (rassegna internazionale di scultura) è una presenza nello Studio Arte Mosè. Per Baratella Mosè la galleria ha commemorato il centenario dalla nascita nonché l’intera vita spesa per la ricerca pittorica. Marcon, uno tra i più grandi incisori italiani che vanta tra l’altro una sua immagine prodotta in un francobollo in circolazione in Germania, è legato  ai curatori dello Studio Arte Mosè sin dagli anni ottanta. Nigiani è  presente con un’opera che ritrae Mosè Baratella nello studio.
Prolusione della gallerista Emanuela Prudenziato; Gli Artisti: destra Nicoli Claudio, a sinistra Mariano Vicentini 
Momento dell'inaugurazione