mercoledì 10 settembre 2014

LA GUERRA

DAL 6 AL 25 SETTEMBRE 2014
MOSTRA COLLETTIVA TEMATICA SU
LA GUERRA



 

UNA COLLETTIVA PER DENUNCIARE L’ILLOGICA, ESASPERATA, VIOLENTA, CONTRAPPOSIZIONE DEI POTENTI.

 

 

Cent’anni fa iniziò la carneficina mondiale; si concluse l’età delle illusioni, del patriottismo, degli ideali deamicisiani strappa lacrime. La grande guerra evidenziò i meccanismi di interesse pubblico e privato atti a coinvolgere governi, partiti, movimenti artistico-letterari e di costume. L’azione di propaganda e l’attività censoria intenzionate, nelle contrapposte finalità, a mostrare il volto lecito della guerra, innescarono nell’opinione pubblica il desiderio della rivendicazione territoriale. Analogamente all’imperativo “Dio lo vuole”, scandito da papa Urbano nella cattedrale di Clermont, allora per motivare la guerra santa, la crociata appunto, un secolo fa l’indottrinamento armò le trincee. Il ‘900 svolse con smodata energia la propaganda: una guerra doverosa per riscrivere i confini nazionali, rimasti solo ideali già dalla profetica e romantica aspirazione manzoniana dell’una d’arme, di lingua e d’altar. Marinetti la giustificò come igiene del  mondo e forza idonea per bruciare tutto il vecchiume del passato. Grotz mostrò generali assetati di vite giovani mutilalate dalle bombe. L’idea proletaria, già sconfitta dalla miseria, aborriva il clima disfattista ed interventista.

Le ragioni economiche, quelle della borghesia industriale che vedeva una risorsa nell’industria bellica, prevalsero sul buon senso e sui neutralismi. Il pretesto del centenario, nel contempo denuncia contro qualsiasi manifestazione di belligeranza (giunga essa dalla parte della “ragione” o del torto), ha indotto all’allestimento della mostra tematica. Una riflessione a trecento sessanta gradi da parte degli artisti che si sono avvicendati nella collettiva. Mirta Caccaro, nelle grafiche omaggia Picasso, con un’evocazione della strage di Guernica durante la guerra civile spagnola e sottolinea, negli animali umanizzati, la cecità secondo Saramago. Le xilografie di Osvaldo Forno mostrano le “teste fasciate”, bruciate dal napalm; sintetizza in maniera efficace l’orrore del Viet Nam. Le opere dell’artista rodigino furono realizzate a caldo negli anni settanta. Antonio Dinelli, giovane artista livornese, ha un’evocazione del fenomeno con cavalieri del passato, un modo personale per sottolineare l’atemporalità della violenza. Mosè Baratella, in un olio del 1977, mostra la rovinosa ritirata di Russia; sconfinati spazi gelati marcati dal livore di sangue del sole all’orizzonte e il milite, in primo piano terrorizzato porta con sé la tragicità della condizione del Cristo. Salta all’occhio un olio di piccole dimensioni di Impero Nigiani; l’artista fiorentino ritrae uno spaccato dell’altare della patria: la fierezza dei cavalli marmorei e una nuvola rossa, una ferita su tanta immacolata classicità. E’ sulla stessa ara su cui furono immolate le giovani vite degli “Alpini”interpretate da Luigi Marcon, con una sinistra poesia degna della più elevata tradizione romantica. Lino Lanaro coglie il senso della sofferenza in una melanconica alzabandiera su i resti di ground zero dopo l’undici settembre. Matteo Faben esprime orrore ne “la privazione”: le gambe di donna, di madre, continuano a vivere e incedere nonostante il baratro, eppure il busto, la sede del cuore e degli affetti, è scarnificato; con meticolosa perizia creativa fa emergere il tema di fondo con una scultura lignea di grandi dimensioni. “Game over” è il titolo dell’opera plurimaterica dell’eclettico artista newpop Mariano Vicentini. Due guerriglieri, neri come la morte, si fronteggiano armati, lo sfondo è un drappo carminio, il teatro della guerra appunto, e la soluzione è tristemente scontata: fine del gioco … fine!

                                Vincenzo Baratella

 
 Emanuela Prudenziato davanti a una scultura  di Matteo Faben
 
       Vincenzo Baratella illustra Desaparesidos, olio su tela di Mosè Baratella




 

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