venerdì 6 settembre 2019

Francesco Scarfone allo Studio Arte Mosè

L'incontro, un anno fa, con Francesco Scarfone è stato accompagnato dall’Uroburo in una diversa, insolita, interpretazione del San Giorgio che ha aperto la strada per un connubio con la galleria Studio Arte Mosè. Il serpente mitologico che mangia se stesso dalla coda, e nell’atto fagocitandi si rigenera, enuncia la ciclicità sempiterna del bene e del male in una continua lotta. Nell’azzardata concezione moderna è l’autoritratto dell’artista nelle vesti di San Giorgio. Occasione, questa, di porsi al centro del disco mitologico della perpetua indagine di una identità artistica, di un proseguo nell’amalgama delle troppe correnti che hanno caratterizzato l'ultimo cinquantennio artistico. È proprio nella ricerca di una peculiare identità nel frammisto, variegato, spettro di luce dei grandi che Francesco indugia a ripercorrere vie di altri grandi e sperimentare. È innanzitutto un provetto disegnatore. Una volta interpretato l'oggetto, solitamente teste, figure, libera una linea marcata con il colore, un accostamento deciso alla Guttuso, conterraneo, per rendere efficace la lettura della grafica e la totalità del soggetto rappresentato. È un disegno pieno di emozione, quello di Scarfone, capace di far scaturire molteplici sensazioni. Suggestioni forti nella comunicazione del momento esperito, in sintonia con l'animo tedesco del secolo scorso. L’artista siciliano, naturalizzato trevigiano, ha un'essenza di vita artistica autonoma, nonostante alcuni tratti esecutivi di spontanea immediatezza rimandino a Schiele. In effetti la linea del pennello sulle figure marca la fluidità del grande austriaco e nel momento in cui s'asperge di colore acquerellato, o acrilico, si desume l’identità del Nostro, soprattutto nei punti su cui scendono sulla carta o sulla tela le colature che caratterizzano nell'emulsione cromatica il tratto distintivo e immediato di Scarfone. C'è in Francesco la decisione di una perentoria scrittura giapponese per esprimere sensazioni criptate dell'anima. Una narrazione di grafemi distintivi nella ricerca pulita attorno al rapporto linea-spazio al fine di delineare volumi. Un'essenzialità tipica dell'animo in perenne esame di una conformità artistica, anche  con la terra natale, che fa emergere la solarità dei gialli, dell’ocra. Colori stesi a spatola direttamente dal tubetto per non violare di vive marcature che solo le tinte pulite possono rendere. L'uso del colore ad olio necessita di tempi lunghi per l’essicazione e per la sovrapposizione dei pigmenti. Con la spatola raschia e modella, strato su strato, per consentire al soggetto rappresentato di emergere più compatibile alla plasticità oggettuale che alla mera raffigurazione piatta. È un lavoro di tempo, di meditazione, per delineare il paesaggio, la figura umana, la natura morta. La consistenza delle forme induce a fare una comparazione con la elasticità dei nudi di Lucien Freud. La sensualità dei corpi e il tocco deciso di spatola, grasso nelle consistenza del colore, riporta indubbiamente al realismo della pittura tedesca, meglio identificata nell'oggettività. L’esecuzione tecnica degli oli di Francesco, materica, a volte priva di una continuità di stesura, rende il soggetto soffuso, sfuocato tipico di una poesia che rimanda a Rembrandt. Vincenzo Baratella©.
alcune opere di Francesco Scarfone


I signori Scarfone; al centro la gallerista Emanuela Prudenziato
Presentazione della rassegna
Momento inaugurazione
Momento inaugurazione

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