L'incontro, un anno fa, con Francesco Scarfone
è stato accompagnato dall’Uroburo in
una diversa, insolita, interpretazione del San Giorgio che ha aperto la strada
per un connubio con la galleria Studio Arte Mosè. Il serpente mitologico che
mangia se stesso dalla coda, e nell’atto fagocitandi si rigenera, enuncia la
ciclicità sempiterna del bene e del male in una continua lotta. Nell’azzardata
concezione moderna è l’autoritratto dell’artista nelle vesti di San Giorgio. Occasione,
questa, di porsi al centro del disco mitologico della perpetua indagine di una
identità artistica, di un proseguo nell’amalgama delle troppe correnti che hanno
caratterizzato l'ultimo cinquantennio artistico. È proprio nella ricerca di una
peculiare identità nel frammisto, variegato, spettro di luce dei grandi che
Francesco indugia a ripercorrere vie di altri grandi e sperimentare. È
innanzitutto un provetto disegnatore. Una volta interpretato l'oggetto,
solitamente teste, figure, libera una linea marcata con il colore, un accostamento
deciso alla Guttuso, conterraneo, per rendere efficace la lettura della grafica
e la totalità del soggetto rappresentato. È un disegno pieno di emozione, quello
di Scarfone, capace di far scaturire molteplici sensazioni. Suggestioni forti nella
comunicazione del momento esperito, in sintonia con l'animo tedesco del secolo
scorso. L’artista siciliano, naturalizzato trevigiano, ha un'essenza di vita artistica
autonoma, nonostante alcuni tratti esecutivi di spontanea immediatezza
rimandino a Schiele. In effetti la linea del pennello sulle figure marca la
fluidità del grande austriaco e nel momento in cui s'asperge di colore
acquerellato, o acrilico, si desume l’identità del Nostro, soprattutto nei
punti su cui scendono sulla carta o sulla tela le colature che caratterizzano
nell'emulsione cromatica il tratto distintivo e immediato di Scarfone. C'è in
Francesco la decisione di una perentoria scrittura giapponese per esprimere
sensazioni criptate dell'anima. Una narrazione di grafemi distintivi nella
ricerca pulita attorno al rapporto linea-spazio al fine di delineare volumi.
Un'essenzialità tipica dell'animo in perenne esame di una conformità artistica,
anche con la terra natale, che fa emergere
la solarità dei gialli, dell’ocra. Colori stesi a spatola direttamente dal
tubetto per non violare di vive marcature che solo le tinte pulite possono
rendere. L'uso del colore ad olio necessita di tempi lunghi per l’essicazione e
per la sovrapposizione dei pigmenti. Con la spatola raschia e modella, strato
su strato, per consentire al soggetto rappresentato di emergere più compatibile
alla plasticità oggettuale che alla mera raffigurazione piatta. È un lavoro di
tempo, di meditazione, per delineare il paesaggio, la figura umana, la natura
morta. La consistenza delle forme induce a fare una comparazione con la elasticità
dei nudi di Lucien Freud. La sensualità dei corpi e il tocco deciso di spatola,
grasso nelle consistenza del colore, riporta indubbiamente al realismo della
pittura tedesca, meglio identificata nell'oggettività. L’esecuzione tecnica degli
oli di Francesco, materica, a volte priva di una continuità di stesura, rende
il soggetto soffuso, sfuocato tipico di una poesia che rimanda a Rembrandt. Vincenzo Baratella©.
alcune opere di Francesco Scarfone
I signori Scarfone; al centro la gallerista Emanuela Prudenziato
Presentazione della rassegna
Momento inaugurazione
Momento inaugurazione