giovedì 7 luglio 2011

"Arte:libertà di esprimere e filosofia di vita". allo Studio Arte Mosè

ARTE: LIBERTA’ DI ESPRIMERE E  FILOSOFIA DI VITA

Quattro Artisti in mostra per completare, in maniera visiva, il concetto della libertà di espressione e di esposizione attraverso il linguaggio dell’arte figurativa. Mosè Baratella, Raimondo Lorenzetti, Mariano Vicentini e Toni Zarpellon, personalità diverse, tecniche differenti; l’unico denominatore che fa da collante è lo spontaneo, a volte irriguardoso, modo di proporre le visioni del mondo: soggettive weltanschauungen che nella sommatoria delle poche, ma significative opere esposte rivelano un’ interpretazione esistenzialista del perché essere e come esser-ci. E la proceduralità del proporre palesa l’incondizionata libertà. L’ovvietà fenomenologica legittima l’affermazione e giustifica il concetto stesso di libertà; paradossalmente il significante decodificato in un significato trasparente non sempre estende la sua universale fruizione attraverso il dire artistico. In effetti dalla torre d’avorio non necessariamente il messaggio viola i costrittivi vincoli dell’ermetismo. L’arte giunge al bivio della comunicazione: l’estensibilità del messaggio comune attraverso la danza liberatoria di Dioniso ed il concettualismo  apollineo dove il bello è razionale ed elitario. Alla spontaneità dell’artista è indiscutibilmente più idoneo l’approccio all’ebbrezza dionisiaca, tra la danza di Sileno e l’incedere malizioso delle ninfe. L’arte diviene catarsi, atto di autoliberazione e di autoconservazione; “la vita dell’arte passa anche attraverso la morte”, sostiene Zarpellon nel manifesto della vita dopo la caduta all’inferno. Il ripetersi del disagio e lo spleen  inducono alla fuga dai clichet per un naufragio nell’isola felice dell’individualismo condiviso. Un ossimoro valido unicamente per gli artisti. L’unicità dei quattro è nella condivisione per ciò che i più hanno avuto la codardia di occultare con censura del super-io.
L’uomo libero, anche con le limitazioni, che si accapigliano in contenzioni psicologiche tende ad auto affermarsi esprimendo le tematiche e le problematiche che alla totalità è condivisibile, ma non esprimibile. La legge, comune punto di riferimento sociale, tutela del pudore e del buon senso si separa dal principio teorico e s’incorpora  nelle figure che rappresentano l’idea, pur mancando di dignità nell’assunzione dell’incarico. Mosè Baratella colloca le icone di Dio e dello Stato nella croce e nella toga, tuttavia nella ricaduta contingente un demoniaco cane spolpa in nome della legalità. Dall’ironia macabra del “funerale in famiglia” il prete si defila dal casino, dalle puttane e dai feticci, dimenticando sull’attaccapanni l’abito talare; resta il fiero monito della matriarca. “A tu per tu”, nel gioco fonetico che ricorda una nota marca di contraccettivi, tra ammissioni e benedizioni, Vicentini rende con l’efficacia del gossip  l’operato del ministro dell’alto ufficio morale. Nell’imposizione al silenzio Milingo assolve il matrimonio carnale senza prole. Il probabile scandalo si è concluso in un gioco mimico di mani, tuttavia la morte dell’ideale e forse anche dell’arte sono stati già decretati. Aedo della macchina, della velocità, del frastuono, del comune senso del pudore, della fine degli ideali, del seppellimento degli idoli, lugubre, fragile su di una sedia è graffiato vigorosamente il monito “memento mori” da Toni Zarpellon. Dalla caduta per una sollevazione parziale, l’artista bassanese ha fissato le larve, le ha viste  uscire dalle orbite, dal setto nasale, dagli alveoli madidi di putredine per riprendere il cammino della rinascita e della riaffermazione degli stimoli al consumismo. Nell’eclissi dell’attuale ragione il bimbo del terzo millennio è smaliziato per chiedere quale prodotto reclamizzi la luna. Lontano dagli ingenui quesiti, idonei all’epoca di Horkheimer, l’”apple”, come indiscusso faro di inculturazione sociale e veicolo indispensabile per elevare il prestigio sociale, diventa punto di riferimento ancora la macchina. Il vecchio cuore- serbatoio, colmo del costoso brent, si umanizza, prende vita e si rigenera già nella “cava abitata”. Qui nell’inquietante  nursei la creatura prolifica per prendere il sopravvento sul creatore. Inumana legge del contrappasso: la macchina diventa  subdolo dittatore e poi carnefice. E l’uomo gradualmente perde la libertà; infatti la statua della libertà ha gettato la fiaccola nell’Hudson, cambia fisiognomica e stende orizzontalmente il braccio nel deciso saluto per la mein kampf. Ordine s’alterna al disordine e quest’ultimo a nuovo ordine in una maniacale ciclicità vichiana. Lorenzetti, con rassegnata ironia, esibisce la sua “allegoria”. Il povero maiale, vittima dell’atavica fame, impiantato con il genoma umano si è trasumanato, creando pure i neuroni umano competenti e compatibili e si è qualificato essere intelligente. Il porco si porta ora sulle spalle l’albero della cuccagna e tra le mascelle gli ciondola un ometto portachiavi, forse ciò che rimane dell’eugenetico ricercatore. La rassegna sottolinea un gioco di parti, un’inesauribile alternarsi dei poteri, un cronologico andirivieni di vita e di morte, di sollevazioni e cadute, di sollecitazioni morali e tentazioni immorali; ineludibili presagi  che difficilmente malcela il linguaggio libero dell’arte. Lontano, fuori dalle dimensioni spaziotemporali, in una prospettiva arcadica, Aminta allieta con il flauto la bella Silvia, entrambi  immersi in apriche distese di verzure e di polle lustrali… il viaggio nell’onirico continua.
                                            Vincenzo Baratella


"povero maiale" olio su tela di Raimondo Lorenzetti.










"Statua della libertà" di Mariano Vicentini, olio su tela.

















"L'avvocato" di Mosè Baratella, olio  su tela.
















Creatura della "cava abitata" di Toni Zarpellon;
serbatoio di autoveicolo.
La cava abitata, accostata alla cava dipinta è una delle grandi opere di Rubbio (Bassano) eseguite da Toni Zarpellon.













Vincenzo Baratella, Raimondo Lorenzetti , Edi Brancolini allo Studio Arte Mosè.













Mosè Baratella; autoritratto, disegno su carta, 1934.















Mariano Vicentini, Emanuela Prudenziato.
Sullo sfondo "Lutto in famiglia" un'opera dell'Artista veronese.













Toni Zarpellon.

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