giovedì 7 luglio 2011

Toni Zarpellon allo Studio Arte Mosè

 

Toni Zarpellon e Vincenzo Baratella
allo Studio Arte Mosè nell'inaugurazione della personale " Cento teste di donna" dell'Artista bassanese.












Toni Zarpellon e Baratella Vincenzo nella mostra: "ARTE: LIBERTA’ DI ESPRIMERE E  FILOSOFIA DI VITA", inaugurata il 5 marzo 2011.allo Studio Arte Mosè.
















Presentazione della personale di Zarpellon allo Studio Arte Mosè il 26 marzo 2011:
Toni Zarpellon: sofferta evoluzione creativa.
Ars vincit omnia. Volutamente ho cambiato il soggetto da amore ad arte.  Con  Zarpellon l’assioma è simbiotico: nulla di più inscindibile per il Bassanese: fare arte e vivere. E non è stato un percorso facile. Mi rivelò che dedica intere giornate per raggiungere quelle soluzioni  a volte apparentemente scontate, ma così tormentate  che solo un continuum di ricerca e un lavoro di sperimentazione possono produrre. Il sasso della Senna nobilitato ad opera d’arte attraverso il recupero di Picasso, le proiezioni lineari di Mondrian come condensato del paesaggio, il piscio di Warhol per acidificare la serigrafia sulla quale campeggia l’amoroso Basquiat, l’elemento fisiologico inscatolato da Manzoni sono forse le provocazioni eclatanti per confutare la funzione sociale dell’arte e decretarne la morte. Nietzsche, alla fine del XIX secolo, annunciava la morte di Dio e con essa le virtù tradizionali. La gaia scienza inculcava i nuovi valori troppo umani e soggettivi; il neopositivismo partoriva la macchina e già si profilava il disagio psicologico. La morte delle arti figurative, che inneggiavano al bello raziocinante, apollineo, socraticamente demoniaco, maieutico si eclissavano con l’avanzare delle ovvietà fenomenologiche. Parallelamente finivano pure le incentivazioni artistiche spontanee mosse dalle pulsioni istintuali. I moti della psiche e la malattia dell’animo hanno messo in luce le tematiche inusuali e forse anche imbarazzanti. E sul malessere esistenziale Toni Zarpellon ha posto le  sue domande. Il segno d’interpunzione dell’interrogazione campeggia in molte opere. Anche nei teoremi più evidenti cavalca il soggettivismo interrogativo e lascia la porta aperta per le soluzioni opinabili. Nella ridda degli assiomi che il groviglio mentale partorisce, la sollevazione dalla caduta e la ripresa sono lente. Dalla morte dello spirito e dell’arte, in una partenogenesi spontanea, si è autogenerata la vita: le larve dei fantasmi della mente  si proiettano nell’opera per auto-affermare la rinascita. E ritorna all’arte e all’artista stesso: Toni Zarpellon stilla il manifesto alla vita dopo la caduta all’inferno, dopo la “testa esplosa”, dopo la chiusura comunicativa con l’universale raziocinante. Le interrogazioni,  i perché, l’ansia di dire e di proporsi, di attestare l’esistenza artistica, diventano  per il Bassanese,  prioritari motivi del vivere. In seguito ai mali nella danza con la morte oramai l’arte gode della risalita. Purtroppo nella condizione umana il ruolo metafisico agostiniano determinato dalla originaria imperfezione, biologicamente naturale per l’evoluzionismo e per la scienza che produce macchina e soffocamento indiretto dalla stessa, avanza la nuova mortificazione contemplata da Zarpellon. La creatura rende succube il creatore, l’atto s’appropria della sua peculiare potenza ed il necessario diviene volitivo e voluttuario. Nella cava abitata, una sorta di quinta  del sordo, in cui spiriti reali di macchina gridano al plenilunio, Zarpellon anima i suoi fantasmi. Nel neoanimismo teologico i serbatoi sventrati, totem del benessere, sono investiti di vita e nel contempo violentati da tagli in plurime fisiognomiche. Qui s’inserisce l’attività di auto-indagine: cento teste, cento  autoritratti per esplorare ciò che sta dietro al vello delle apparenze. Indi il succedersi delle cento teste di donna per coniugare il connubio maschio-femmina, il sé ed il suo imprescindibile completamento. Tuttavia è en plain air che si ode il fruscio delle fronde, si estende l’aprico declivio erboso dell’Altopiano, si sente impercettibile il sussurro del vento tra le pietre e si assaporano gli odori delle spore del muschio … Dalla prigione dell’io, dal carcere circoscritto della ragione, dall’angusto spazio dello studio, Zarpellon riprende un colloquio intimo con la natura. E’ questo un duale rapporto  di analisi, interpretazione, gratificazione, sollevazione e ripresa al fine di approdare alle sintesi di lettura e di composizione, quasi metafisica, espressionista negli urli esistenziali,  che solamente l’arguzia, la sofferenza e l’esperienza del vero artista possono cogliere. Le sue diventano opere che scoprono un linguaggio essenziale in una sorta di nuova metafisica. Le tele raccolgono i colori caldi e freddi, luminosi e smorzati identici a quelli che l’occhio ha colto. Il soggetto viene portato all’aperto, sul prato, magari nella calca della folla metropolitana, comunque comparato e compartecipe al paesaggio. I nudi stessi, stagliati contro l’orizzonte, perdono il fascino “pruriginoso” dell’erotismo per una sorta d’imbibizione ebbra di lirismo nella sensualità pulita dei corpi e delle cose.
                                      Vincenzo Baratella      



Personale di Toni Zarpellon
Cento teste di donna allo Studio Arte Mosè
TONI ZARPELLON A ROVIGO

Sabato primo marzo 2008, alle ore 18, nello Studio Arte Mosè, l’inaugurazione delle “Cento teste di donna”. Zarpellon, per scontati spazi di capienza, ha dovuto contenere la mostra con la metà delle opere, senza tuttavia privare lo spettatore della visione unitaria contenuta nel catalogo, stampato anche per la mostra rodigina. Toni Zarpellon, con formazione accademica e ricco di cultura, ex-insegnante, attualmente si dedica alla ricerca ed alla sperimentazione artistica, non senza motivarne le spinte propulsive. Con le “Cento teste di donna” ha voluto porre l’altro da sé, dopo la realizzazione dei “Cento autoritratti”, in permanenza al museo Bargellini di Pieve di Cento. Nei ritratti di donna l’artista bassanese ha puntualizzato angolature desuete, travisando l’immagine reale per carpire le innumerevoli sfaccettature dell’io mutevole. Sono ritratti, perché fissano fisiognomiche di distintive donne, colte nelle più spontanee espressioni della quotidianità, nella manifestazione di mutevoli stati d’animo. Sono donne pensanti, opposte all’Ego-centrismo dell’autoritratto, che si pongono, nell’ottimismo e nel pessimismo, il dilemma “che cosa vuol dire esserci?” La stessa D. Solle, nella sua indagine speculativa ponendosi il quesito esistenziale, trovava risposta nella “rappresentanza” ovvero la necessità dell’esserci per autoaffermare, anche nella sofferenza, l’esistenza stessa. Zarpellon, pur non dipanando dubbi e incertezze, esprime comunque un fluire di vita e l’esternazione della -delle- personalità. A scapito della bellezza estetica l’artista nobilita interiormente la donna ritratta arricchendola dell’Unicità della personalità. Già nel 1963, dopo il meticoloso figurativo post-accademico, Zarpellon espresse la crocifissione dell’interiorità umana attraverso la macchina. Quest’ultima unitamente al consumismo smodato soffocava le identità ed i valori  dell’uomo, che ricadeva alla degradazione “larvale”. Le “larve umane” per l’appunto; periodo tristemente ricordato dal bassanese: una corsa frenetica al mordi-fuggi-consuma che inibiva di ponderare sui valori. Dieci anni dopo con il manifesto “la Vita” Zarpellon accerta che c’è una luce che illumina il nostro pensare, nella simbologia rappresenta  la candela accesa dentro la zucca; arcaiche metafore per dire che c’è l’essere pensante con le sue piccole, anche fievoli illuminazioni. Poi il contatto con la natura e le “cave di Rubbio”.  Gli anni novanta lo vedono impegnato in quella singolare opera della pittura-scultura della cava abbandonata di Rubbio. Sono anni di fecondo lavoro, gratificato da oltre 400.000 visitatori e dal plauso di innumerevoli musei civici e istituzioni pubbliche. La mostra allo Studio Arte Mosè è la continuazione di un fecondo processo di ricerca artistica, nonché introspettiva, dell’artista.                                                        Vincenzo Baratella

      Toni Zarpellon all'inaugurazione della
       personale "cento teste di donna",
       allo Studio Arte Mosè;
       di fianco la gallerista, prof. Emanuela
       Prudenziato.















Toni Zarpellon allo Studio Arte Mosè durante la personale
"cento teste di donna" ; marzo 2008.

APPUNTI PER CENTO TESTE DI DONNA
DAL 2000 AL 2007 di Toni Zarpellon.
Nel gennaio del 1973 ho fatto conoscere il manifesto “La Vita” dal mio studio di via Rivarotta. In quell’anno ho iniziato a disegnare, dipingere e scolpire teste umane alternate ai vari aspetti della realtà quali i nudi femminili, gli oggetti della vita quotidiana, gli animali, gli spazi aperti della natura. Come primi tentativi ho messo gli occhi, il naso e la bocca alle precedenti “Teste che non vedono” le quali derivavano dalle “Larve umane” della seconda metà degli anni sessanta, per risalire alle “Crocifissioni dalla macchina" del 1965 dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Un percorso questo di lenta rinascita per uscire dalla “fossa dei serpenti” in cui si è cacciato l’uomo della civiltà industriale e dei consumi.
In tutti questi anni uomini e donne si sono alternati nel mio studio e seduti su una vecchia poltrona di vimini, ho disegnato e dipinto le loro teste per avere una conferma della mia evoluzione interiore tesa a ricostruire una nuova centralità mentale e fisica. Si è stabilito in tal modo un legame profondo tra l’io e il tu dove le forme e i colori hanno visualizzato e reso possibile un processo di comunicazione attraverso il linguaggio dell’arte. Quando si fa ricerca il cammino, per quanto lo si voglia, non è mai lìneare. Possono succedere fatti imprevisti che mettono in discussione i risultati raggiunti. In questi casi anche l’errore diventa occasione di conoscenza. Si creano allora dei vuoti, delle assenze per poi dover incominciare tutto daccapo. Si ripete la storia del macigno di Sisifo che rotola di continuo dalla valle al monte e dal monte alla valle. Dopo gli interventi nelle “Cave di Rubbio”, un nuovo passaggio estetico—esistenziale, è avvenuto con gli ultimi cento autoritratti eseguiti a cavallo del 1999 e il 2000 al termine del quale ho iniziato ancora una volta a guardarmi intorno e tra le altre cose ho ripreso a disegnare teste di donna.
Come in periodi precedenti, esse sono state, negli ultìmi otto anni, motivo costante delle mie ricerche visive. Rovistando tra le mie cartelle ne ho trovate un centinaio, tutte disegnate su fogli di carta di cm. 70x50 ciascuno. Ho potuto fare tale lavoro grazie al tempo dedicatomi dalle persone che hanno posato.
Viviamo in un’epoca in cui il rapporto con la realtà è mediato da una sorta di pellicola artificiale, da un diaframma tecnologico e massmediale, nel quale si rfugiano fatti, persone e cose :nella convinzione che solo mentendo nello sdoppianenuo di sè si possa abitare il mondo.
Un mostro dalle grandi fauci vomita in quantità inaudita immagini appiattite fuori dal tempo e dallo spazio. Una asfissia devozionale e celebrativa si traduce in melassa visiva che tutto avvolge impedendo di scrutare nuovi orizzonti di vita.
Un nuovo e fatuo Olimpo degli dei è venuto alla ribalta. Si è caduti ancora nella trappola mortale di una visione metafisica del mondo.
Anche l’arte sta soffrendo di questa condizione. Negli ultimi cinquant’anni si è assistito ad un drammatico conto alla rovescia come se in ogni momento dovesse finire la storia. Si sono succeduti movimenti artistici la cui durata temporale è andata via via diminuendo per arrivare in un non luogo senza tempo dove tutto è diventato arte perchè si è sospeso ogni giudizio di valore. Ma se tutto è diventato arte niente è più arte. L’ansia di occupare un qualche posto nella storia si è tramutata in deliri di onnipotenza, in parossistiche mistificazioni dove il dire si è sostituito al fare. Oggi sembra imperi la cultura della morte e una visione catastrofica del mondo sta sempre più abitando la mente dell’uomo. E più si consolida l’idea di questa possibile deriva, più aumenta la tendenza a mettere in scena eventi per essere bruciati sul rogo mediatico.
I tempi lunghi della riflessione sono stati banditi. Tutto deve essere fatto e consumato in fretta per sprofondare nel baratro del vuoto e del nulla dove anche la nostra vita rischia di venire sprecata senza essere vissuta.
Da molti anni ormai, a questo drammatico panorama storico, ho contrapposto un mio progetto di ricerca tuttora in fieri teso a scrutare oltre e in me stesso. Desidero ora osservare da vicino le cento teste di donna che sono l’argomento di questa pubblicazione. Gli strumenti di lavoro sono stati le matite e le matite colorate. Materiali secchi e rigidi che ben si prestano a solcare lo spazio del foglio bianco di carta. Ogni testa disegnata si pone nella sua assolutezza occupando un proprio spazio lasciando nello stesso tempo spazio dentro di sè a tutta la realtà. Un dentro e un fuori che interagiscono in un flusso di energia in espansione. Come in un crogiolo, una miriade di interrogativi intorno al senso dell’esserci si agitano, si scontrano, si fondano, si lacerano, si intersecano alla ricerca di equilibri dinamici in un gioco infinito. Interrogativi che vengono oggettualizzati dalle forme e dai colori dentro l’alveo della struttura plastica delle teste disegnate. Struttura la cui configurazione spaziale ed emotiva cambia in rapporto alla diversa persona che ha posato e dove l’eventuale somiglianza è solo la conseguenza di un processo costruttivo autonomo e non la priorità.
L’osservare e disegnare una testa altra da me ha richiamato alla luce un’immagine che prima di essere fuori era dentro di me. Posso dire che queste teste di donna sono lo svelamento di una mia realtà mentale ovvero riflessioni materializzate. Sostanza psichica che si condensa sul foglio di carta tramite il movimento della mano che visualizza l’energia proveniente dal cervello grazie ai segni organizzati nello spazio. Sono tensioni spazio—temporali dove la materia si riscatta vestendosi d’anima, quando ci si chiede il perchè della vita sapendo di dover morire, una strana inquietudine ci assale fino a drammatizzare talvolta il nostro rapporto con la realtà. L’arte ha il compito di .sublimare tutto ciò con l’atto creativo e placare l’angoscia che deriva dalla consapevolezza della propria solitudine nell’Universo.
Durante le ore di posa, ai colloqui su vari argomenti, si sono alternati profondi silenzi. Si sentiva allora solo il rumore provocato dall’attrito delle matite sul foglio bianco di carta malgrado io usi le più pastose per dare maggior scorrevolezza ai segni. Segni la cui intensità cambia con il mutare della pressione della mano nell’individuare luci e ombre in un continuo rapporto dialettico tra loro. Osservando il lavoro compiuto, le persone che hanno posato rimanevano incuriosite nel vedere la loro testa trasfigurata che non è più quella che percepiscono quando si guardano allo specchio. Il fatto che sapevano che io non faccio ritratti nei descrittivo del termine, mi metteva al riparo dalle loro eventuali aspettative di vedersi rappresentate come fa la macchina fotografica. Si è molto discusso su come ormai siamo immersi in una quantità di ìmmagini ottenute meccanicamente e si conveniva sul fatto che la presunta perfezione e sdolcinata piacevolezza ostentata, si traducono in messaggi privì di vita. Una necrosi visiva che blocca l’immaginazione creativa, che chiude la mente dentro un recinto di passività e di alienanti condizìonamenti.
Ponendosi al centro della mia attenzione, le modelle si sono sentite anch’esse partecipi dell’azione creativa perchè valorizzate nella propria unicità, scoprendo talvolta nel mio lavoro aspetti di sè prima sconosciuti o vissuti in modo confuso. Questi sono alcuni dei motivi per i quali molte di loro hanno espresso il desiderio di posare. Ho sempre pensato che l’arte ha il compito di rendere visibile l’invisibile. Essa non è una sorta
di allucinazione privata ma una delle forme più alte per conoscere se stessi e la realtà dei mondo di cui facciamo parte.
Luglio 2007                                Toni Zarpellon

"cento teste di donna" presso
ex-Istituto Statale d'Arte, sala
Carlo Dalla Zorza.
Campo dei Carmini,
Dorsoduro, 2613 VENEZIA
INAUGURAZIONE:
3 settembre 2011 ore 18.


Opera di Zarpellon Toni, olio su tela.

















Toni Zarpellon e la pittrice Mirta Caccaro allo Studio Arte Mosè.














Toni Zarpellon ed il pittore Gilberto Nardini allo Studio Arte Mosè.










Disegno di Toni Zarpellon; significativa sintesi grafica per rappresentare il soggetto.







fotografie: pr.ema© .

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