giovedì 7 luglio 2011

Mosè Baratella allo studio arte mosè

         













Immagine della Galleria nella retrospettiva di
Mosè Baratella.

Opera di Mosè Baratella, olio su tavola.



La prof. Emanuela Prudenziato ,
curatrice della mostra: " GESU'
NELL'INTERPRETAZIONE ARTISTICA DI MOSE'" .
"Mosè e il senso del sacro"
di Emanuela Prudenziato
"L'uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di  Dio. La condizione dell'esistere pone l'individuo di fronte a scelte non sempre reversibili. Vivere significa sedimentare una serie di esperienze che spesso procurano dubbi, angosce, ansie inspiegabili, che non si eliminano facilmente. La stratificazione di questo determina il senso del nostro esserci. Le risposte che cerchiamo o riusciamo a costruire sottolineano il dolore dell'esistere umano. L'affermazione iniziale  quale interpretazione può avere se questa è la condizione umana? Solo Gesù è morto e risorto, l'uomo crede nella Ressurrezione dell'anima dopo aver attraversato bene e male, aver gioito e sbagliato secondo le sue capacità razionali. A questo punto Mosè rielabora la dimensione umana, cerca una sua interpretazione, che lo liberi e liberi dai lacci della limitatezza antropica. L'esternazione del dolore di Cristo è la sofferenza terrena dell'uomo. La lettura forte, cruda e a volte violenta delle raffigurazioni sacre è in fondo il messaggio, il discorso di Mosè uomo, creatura disperatamente terrena." 

"Il Cristo morto" di Mosè Baratella, olio su tela.

"Gesù nella lettura artistica di Mosè"
di Vincenzo Baratella
Mosè ha sempre palesato un intrinseco senso di religiosità, motivato da insoluti  quesiti esistenziali: perché siamo, da dove veniamo, dove andremo. Questo desiderio di conoscenza è stato accentuato dal contingente proporsi nel consorzio umano e nella necessità di procacciarsi il necessario del vivere in un contesto non sempre serenamente gratificante. La rissosità concorrenziale, i subdoli meccanismi del proporsi sociale, le scalate di dubbi profeti, i fraudolenti della credibilità popolare, il crollo delle illusioni, lo scacco economico, hanno fatto della figura di Gesù l’icona sentita in una buona porzione della produzione artistica di Mosè. Gesù ha compattato l’ideale dell’uomo e del Dio. L’uomo nel tradimento del quotidiano e il Gesù figlio di Dio, remissivo, quasi impotente a ribellarsi a contesti ostruttivi, ingannevoli e coercitivi. Gesù è nella esigibilità della religione troppo umana. La necessità di ribellarsi interiormente attraverso il Primo ed Unico capro espiatorio è dimostrata dalle innumerevoli opere che Mosè ha dipinto, disegnato e scolpito. In effetti ha mostrato, ha compianto, ha umanizzato, ha dubitato, il percorso esistenziale del figlio di Dio. Nelle opere “classicheggianti”, volutamente eseguite per compararsi con i grandi maestri del passato, la figura di Gesù bambino e della Madonna sono eseguiti con trascendente serenità e meticolosa perizia tecnica. Ricordo che ha riprodotto molte volte - d’altra parte lo fecero Tiziano, Lorenzo Lotto, Giorgione - il “Cristo portacroce” di Bellini, intenso, mistico, prima della “barbara restaurazione”. Madonne bambine, serene, pudiche, ignare delle sofferenze che l’accidia avrebbe procurato sono i comuni denominatori che nell’olio, nella tempera e nell’acquarello, dimostrano l’animo sensibile, forse anche ingenuo, di Mosè Baratella. Con il Cristo adulto crollano gli idoli della semplicità e della spontaneità e Mosè acuisce la rabbia: la sua è unita a quella di Chi avrebbe potuto cambiare gli eventi. Nell’ultimo atto Mosè raffigura il perplesso grido “Eloì …” sulla croce e conclude piangendo indubbiamente l’incomprensione su un attuale sepolcro, che tanto ricorda la lezione d’anatomia di Rubens.                        


Catalogo parziale dell'opera di Mosè Baratella.
Disponibile su richiesta. Gratuita consegna b.m.
Autoritratto di Mosè Baratella, olio su tela.

















Mosè Baratella metre dipinge.






















Due nature morte di Mosè
olio su tela.




















PRESENTAZIONE PER LA RETROSPETTIVA DI    MOSE' BARATELLA 
del 26 Maggio 2007.

La consistente mole di lavori mi ha condizionato nella scelta. E’ difficile valutare se deve essere solo un continuum antologico, un periodo particolare ed identificabile, o entrambi. L’opzione rischia di dare un’immagine settoriale, non rispondente al vero, magari circoscrivere l’opera, così vasta e complessa di Mosè, ad un periodo, che, per l’immediatezza esecutiva o per irruenza del proporsi di getto, rischia di distorcere la visione completa dell’uomo e dell’artista. E’ comunque un azzardo che devo correre, in quanto mi è logisticamente impossibile esibire simultaneamente buona parte dell’opera. La presente personale è circoscritta agli anni settanta. Il decennio 1970-80 è stato un periodo fecondo e creativo per Mosè; d’altra parte le lotte sociali, l’autunno caldo, protrattosi oltre il sessantanove, le richieste femministe, il referendum sul divorzio, il diritto di famiglia, le occupazioni degli atenei e l’assassinio di Moro, con gli anni di piombo, sono stati forieri incentivi tematici e, nella ridda dei confronti, soluzioni tecniche uniche. Anche se ho un occhio di riguardo per mio padre, l’obiettività di giudizio, non mi impedisce di usare un equo metro valutativo. “Le piazze d’Italia”, la fortunata serie dell’arte programma, dell’arte denuncia, dell’arte cronaca, sono state per Mosè opere che hanno rappresentato l’impegno, la fecondità e la poliedricità del suo pensiero. Seppure di getto, in ogni foglio, perché gessetti ad olio ed oli su carta sono in maggioranza i protagonisti dell’esposizione, c’è la sintesi di un tema. E’ da rilevare che un artista così fecondo come Mosè, doveva in continuazione avere a disposizione materiale per esternare. Allora cinquantenne consumò parecchie energie per raggiungere livelli contenutistici e formali desueti. Lui stesso, consapevole di avere una marcia in più, esplodeva la sua esuberanza soprattutto nelle grandi città: Venezia, Verona, Padova, Ferrara. A Rovigo avvertiva l’indifferenza ed un alito di saccente maldicenza, soprattutto nei cenacoli ristretti dove la cultura era aedica ed elitaria. La presente personale è per i rodigini inedita. Un Mosè diverso dal canonico figurativo, così conosciuto dai più. Sono alcuni dei lavori che l’hanno visto protagonista fuori dalle mura cittadine. Significativo è l’olio “Verona in amore” segnalato a Caprino veronese, nel quale compatta ciò che la città scaligera dietro alla tenda lascia intravedere: i resti dell’arena e gli amanti, guerrieri, nel dramma dell’opera, con lo sfondo la tranquillità del Benaco.
Vincenzo Baratella



SCAMBIO D'IDENTITA' DI MOSE' BARATELLA (1919-2004) di Graziella Andreotti. “Scambio d'identità” è la singolare mostra che lo Studio Arte Mosè dedica a Mosè Baratella (Pontecchio Polesine 1919 – Rovigo 2004) che dà il nome alla galleria gestita dal figlio Vincenzo e da Emanuela Prudenziato, nipote del pittore Angelo Prudenziato. Sono esposti ventuno dei numerosi autoritratti su tela e su carta nei quali Baratella si rappresenta con le sembianze e con i soggetti di Ligabue. Un'ossessione non momentanea, ma lunga negli anni, affidata a cromatismi vivaci e intensi, a deformazioni formali provocanti, a occhi tristi e stralunati, a bocche spalancate, a lingue fuori, per esprimere un'inquietudine mai sopita, un grido di dolore e di rabbia, un'amarezza che lo faceva diventare Ligabue, Munch, Napoleone, re, sultano, ciclista, corsaro, gallo, aquila e volpe. Perchè Ligabue? Perchè Baratella era un grande artista, che aveva dedicato tutta la vita alla pittura, alla scultura e alla grafica, riconosciuto fuori, ma non negli ambienti chiusi e ristretti della sua città sempra avara con i suoi figli migliori. Era consapevole del valore delle sue opere, ma si sentiva incompreso come Ligabue. Il lavoro, la famiglia, Rovigo erano una prigione per i voli della sua arte. Alcuni dei suoi dipinti sono stati attribuiti a un famoso pittore e Mosè ha fatto in tempo a subire questo ennesimo affronto. Che cosa avrà provato?
Padrone di mezzi e tecniche, informato sulle correnti del Novecento, le ha sperimentate tutte creando lo stile di Mosè. Uomo del proprio tempo, è passato dalla pittura en plein air con angoli cittadini e paesaggi polesani alle nature morte, ai ritratti, alle rappresentazioni dei temi sociali del periodo del dissenso. Quadri che avrebbero trovato degna collocazione solamente nella dimora di Peggy Guggenheim a Venezia. Mosè teneva in casa rotoli di tela per tagliare ogni giorno il pezzo necessario. Regalava, vendeva o svendeva per pagarsi le sigarette, i colori, le tele, le cornici, per non far arrabbiare la moglie, per non intaccare il suo modesto stipendio di impiegato. A vederlo sembrava la persona più tranquilla. Lo si poteva incontrare in piazza Vittorio Emanuele II, elegante, il cappello bianco di paglia o di feltro a larga falda, la sigaretta in mano, poche parole, due grandi occhi azzurri e un fascio di tele arrotolate sotto il braccio per l'approvazione degli amici o di qualche dolce signora. Se lasciava la casa di via Viviani, appena fuori delle mura, lo faceva per cercare la quiete della campagna con il poeta coetaneo Alberto Marzolla, anche lui cantore del Polesine, nella vecchia casa lungo il Canal Bianco. E qui fu incantato da due umili lavandaie, Pina e Renata Filippi, che fotografò e ritrasse più volte negli anni '50 e ancora nel 1985. Lo stesso Canal Bianco e le stesse lavandaie che incantarono Mario Cavaglieri nel 1910? C'è qualcosa di misterioso in questo Baratella-Cavaglieri. Quale messaggio avrà voluto lanciare? Il figlio Vincenzo sta cercando di rendere giustizia alla produzione poliedrica di una vita nelle due stanze della sua galleria, ritrovo da alcuni anni di artisti veneti, friulani, toscani, emiliani, romani. Qui si può incontrare lo scrittore Gian Antonio Cibotto, il critico e storico dell'arte Antonio Romagnolo, Vico Calabrò, Raimondo Lorenzetti, Lino Lanaro, Aleph Pizzinato, Toni Zarpellon, Luigi Marcon, Carmelo Consoli, Gilberto Nardini, Marco Manzella, Mirta Caccaro, Giampaolo Dal Pra.
Ma Mosè avrebbe bisogno di grandi spazi, di un intero Roverella, di un Salone della Ragione, di un palazzo dei Diamanti.

























 
Mosè Baratella: "il bacio di Giuda" e
"Memento mori"; in alto è visibile
l'autoritratto.

  Lo scrittore G. A. Cibotto (foto © pr.ema). 
MOSE’ BARATELLA: UNA TESTIMONIANZA SUGLI ANNI SETTANTA
…. presso lo Studio Arte Mosè di Rovigo, è stata inaugurata la mostra  dell’Artista polesano scomparso da qualche anno. La retrospettiva, intitolata “Anni settanta”, è una delle chiavi di lettura e di interpretazione di un decennio significativo per il cambiamento della società e per la ricerca di vecchi e nuovi valori. Mosè Baratella, rodigino, dedito per settant’anni alla pittura e meglio conosciuto fuori dalla città, non è stato solo il pittore dei paesaggi, delle nature morte e dei ritratti, secondo i più classici schemi formali, ma ha sperimentato plurime tecniche ed abbracciato numerose correnti del secolo scorso. E’ stato un artista impegnato, secondo i canoni della miglior arte. Dal sessantotto ad oggi molteplici sono state le trasformazioni: la riforma del diritto di famiglia, i referendum sul divorzio e sull’aborto, guerre e dittature in America Latina, le stragi di stato e gli anni di piombo. Mosè non è stato un moralista, ma un cultore dei veri valori, denunciando con l’opera ciò che riteneva negativo, amorale e contrario al diritto naturale, che in molti quadri ha identificato con la religione. L’olio che apre la rassegna s’intitola “ultime notizie”: è l’individuo smarrito che legge di se stesso sul giornale. E’ l’incipit. Seguono “le piazze d’Italia”, con le contraddizioni della società dopo le vantate emancipazioni e il boom economico: non ci sono regole morali, l’illecito è trasformato in lecito, il male è legittimato come il bene da consumare e la felicità è nell’effimero. Mosè è stato anche un artista scomodo, perché ha detronizzato i modelli corrotti e deviati. La rassegna, con una trentina di opere, è da vedere.
                                                                                                                                Vincenzo Baratella




  "L'avvocato". olio su tela di Mosè Baratella

MOSE’ E L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE
Ha vissuto in un arco di tempo ricco di cambiamenti politici, sociali ed artistici di notevole significato. Di tutto ciò è stato testimone ed interprete acuto e senza compromessi. Le opere danno voce alla realtà, al quotidiano vissuto con coraggio e dignità. L’abilità nell’uso del colore e delle diverse tecniche artistiche gli hanno consentito di poter esprimere il suo pensiero morale, mai moralistico, sugli uomini di potere e non-, sulla religione, i costumi sociali, gli eventi che maggiormente hanno segnato l’ultimo secolo - le piazze d’Italia-. Osservando le grafiche, i dipinti, dal segno sicuro, forte, incisivo, emerge una persona, prima che un artista, onesta con se stessa e con gli altri, senza reticenze e falsi pudori. L’esperienza del figurativo ha visto momenti di arte classica, ma anche moderna e contemporanea. … Mosè non ha precluso nulla alla sua capacità artistica,e al sentire d’artista; ha sperimentato tutte le espressioni d’arte,talvolta influenzato dai grandi maestri, talvolta anticipando nuove forme d’arte. Consapevole di questa ricchezza non ha mai smesso di disegnare, dipingere, di creare comunicazione, perché sentiva di avere ancora molto da dire, da conoscere, per riuscire ad esternare l’arte, spiegarne il senso per la vita.
                                     Emanuela Prudenziato

LO STUDIO ARTE MOSE’ NATO PER OMAGGIARE UN ILLUSTRE POLESANO

Lungo via Fiume (R0) che in rapida discesa punteggiata di edifici talora di grande eleganza, approda davanti alla chiesetta che nel mese di maggio, fino a ieri, vedeva arrivare fanciulle in fiore, al numero 18 c’è lo “Studio Arte Mosè”. Una galleria diretta da due coniugi: Baratella e Prudenziato, che rimasti affascinati dagli artisti circolanti nelle loro case durante la giovinezza, hanno deciso di dare vita ad uno studietto divenuto dopo rapida esperienza una galleria. E’ stato un crescendo di appassionati che non hanno lesinato gli applausi “alla grande” pure a Mosè Baratella, pittore, scultore e grafico palesano sparito nel 2004. Egli si è dedicato alla pittura fin dall’adolescenza, frequentando gli atelier di illustri maestri, senza subirne le influenze. Ha colto le sensazioni genuine della nostra terra polesana e non si è privato di giudicare gli artifici delle correnti più azzardate. Assolto il suo lavoro, dirigeva le energie alla copiosa produzione di quadri. Per tutta la durata della vita non smise di dedicarsi all’arte. In ottanta anni di attività numerose sono state le rassegne alla quali ha partecipato ottenendo indiscussi riconoscimenti.
Gian Antonio Cibotto

 
 
Mose Baratella contempla un suo disegno.      
Lo scrittore G. A. Cibotto (foto © pr.ema)

Studio Arte Mosè. Via Fiume, 18 - Rovigo
studioartemose@live.it

vstudioartemose@yahoo.com

http://wwwstudioartemose.blogspot.com/
           studioartemose.blogspot.com/             
           galleriastudioartemose.blogspot.com/

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